mercoledì 29 febbraio 2012
Il rapporto 2007-2011 del Consiglio europeo di Ricerca rivela che gli italiani vincitori una borsa di studio scelgono università all’estero. E che gli stranieri disertano il nostro Paese.
COMMENTA E CONDIVIDI
Dall’Italia sono in tanti i ricercatori che vogliono andarsene, pochissimi sono quelli che vogliono venirci a lavorare. Forse lo sapevamo già, ma questa fotografia viene ora fissata nero su bianco, con i dati, dal Consiglio Europeo di Ricerca (Cer), che oggi festeggia i cinque anni dalla sua istituzione. L’organismo Ue punta a finanziare e promuovere la ricerca d’eccellenza in Europa, anche per arginare la fuga dei cervelli verso Paesi extraeuropei e magari attirarne alcuni da fuori. Dal 2007 a oggi il Cer, che dispone di un bilancio di 7,5 miliardi di euro, per il periodo 2007-2013 ha finanziato con borse fino a un massimo di 3,5 milioni di euro per cinque anni 2.557 ricercatori d’eccellenza di 53 diverse nazionalità in 480 istituzioni in tutta l’Europa. In totale, il Consiglio ha già erogato 3,9 miliardi di euro per progetti in tutta l’Ue più Russia, Turchia, Croazia, Norvegia, Svizzera e Israele. Anche l’Italia, naturalmente, fa la sua parte, e le eccellenze non mancano. Tuttavia i dati che emergono non sono propriamente esaltanti, almeno in rapporto ai grandi Paesi dell’Europa occidentale. Anzitutto, il Bel Paese ha un record di sproporzione tra gli stranieri che vogliono venire a studiare in Italia e gli italiani che vogliono che i "grant", le borse fornite dal Cer (sono di due tipi: uno per i giovani ricercatori, e un secondo "avanzato" per chi è già avanti nella carriera e si è già fatto un nome), si svolgano presso università straniere: appena 16 i forestieri che hanno chiesto di venire da noi, mentre su 257 italiani vincitori di un borsa Cer ben 106 hanno preferito l’estero. «Durante le discussione – dice ad Avvenire Massimo Gaudina, capo unità Comunicazione presso il Cer – è emerso che alcuni lavoravano già presso università estere e volevano restarci, altri ritenevano di avere più chance di realizzare le proprie idee all’estero anziché in Italia». Se si guarda la "classifica" del Consiglio europeo della ricerca, si vede che ad esempio il Regno Unito – primo in assoluto – ha attirato con queste borse Ue oltre 240 ricercatori stranieri, mentre solo una cinquantina di britannici ha scelto l’estero. Quadro simile in Svizzera, che ha attirato 140 ricercatori mentre solo una decina di elvetici è andato all’estero. Non basta. Tra le 18 università che hanno attirato più ricercatori stranieri con questi fondi comunitari non ce n’è nessuna italiana, ma 6 britanniche, 3 svizzere, 3 israeliane, 2 olandesi, e 1 per Belgio, Germania, Svezia e Finlandia. Né figura alcun organismo di ricerca (tipo il nostro Cnr), ma 4 enti francesi, 1 tedesco e 1 spagnolo. «Che i giovani vogliano andare all’estero per farsi un’esperienza di ricerca va benissimo, è anche positivo – spiega Anna Tramontano, professore ordinario di Biochimica alla Sapienza di Roma e membro del Cer – il problema è il futuro, le prospettive una volta terminata la borsa. Le nostre università hanno problemi a fare offerte interessanti, in molti casi per un posto di ricercatore viene offerto un contratto coordinato e continuativo, troppo poco». Altrove si segue la strada opposta: «Ad esempio a Gand in Belgio – dice Gaudina – oltre ai cinque anni coperti dalle nostre borse, l’ateneo offre ai migliori altri cinque anni di carriera garantita, insomma un ricercatore può pianificare per 10 anni, e questo ovviamente attira moltissimo». In un caso, un’università europea è riuscita ad attirare niente meno che un premio Nobel: parliamo dell’Università di Dublino, presso la quale avrà un grant avanzato l’economista James Heckmann, professore presso l’Università di Chicago (Nobel per l’Economia nel 2000), che da alcuni anni collabora già con l’università irlandese. «Questo esempio recentissimo – ha commentato Helga Nowotny, presidente del Cer – di uno studioso d’eccellenza americano attirato da un grant del Cer è una buona notizia per l’Europa». Per un’università italiana sarebbe un sogno. Rimane, poi, un ultimo dato negativo, e cioè la percentuale di successi rispetto alle richieste: mentre la media europea vede un risultato positivo del 9,8%, per l’Italia si scende al 6%. Eppure, sottolineano al Cer, non è che non ci siano italiani di grandi qualità, del resto, finalmente un dato positivo: circa il 10% delle borse Cer sono state assegnate a connazionali. Si possono ad esempio citare casi come Alberto Broggi, che con un grant presso l’università di Parma ha realizzato un progetto che ha portato un’auto teleguidata fino a Shanghai, o Giulio Di Toro, che presso l’Istituto di Geofisica e Vulcanologia a Roma studia i terremoti, o ancora Valentina Bosetti che presso la Fondazione Eni Enrico Mattei studia il cambiamento climatico. L’eccellenza, insomma, in Italia non manca. Quello che va migliorato, è il messaggio, è il sostegno, non solo finanziario, alla ricerca e alle università.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: