martedì 22 giugno 2021
La Chiesa italiana, grazie a questi protocolli, ha organizzato soprattutto tramite Caritas, Migrantes e col sostegno delle comunità locali, partenze da Medio Oriente e Africa di richiedenti asilo
Un gruppo di profughi siriani in arrivo all'aeroporto di Roma Leonardo Da Vinci a Fiumicino nell'ottobre 2018

Un gruppo di profughi siriani in arrivo all'aeroporto di Roma Leonardo Da Vinci a Fiumicino nell'ottobre 2018 - Ansa

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Il ponte umanitario italiano per i profughi riapre. Alla fine del tunnel della pandemia c’è anche la luce dei corridoi umanitari della Cei per chi è rimasto bloccato più di un anno nei Paesi terzi. Finanziati dalla Conferenza episcopale con i fondi otto per mille grazie a un’intesa siglata con con il governo italiano nel 2017, i corridoi costituiscono una via sicura e legale di accesso nella Fortezza Europa per le persone più vulnerabili bloccate nei campi profughi o negli alloggi urbani per rifugiati o per persone particolarmente meritevoli – sempre e comunque perseguitate in patria o in fuga da conflitti – che nel limbo dell’esilio in Paesi di transito spesso poveri non possono studiare o lavorare.

La Cei, grazie a questi protocolli ha organizzato negli ultimi anni – soprattutto tramite la Caritas Italiana, Migrantes e col sostegno delle comunità locali – partenze da Medio Oriente e Africa di richiedenti asilo in condizioni di vulnerabilità, individuati nei campi profughi di Etiopia, Giordania e Niger.

Un segno importante dal basso, una iniziativa delle chiese cristiane (nel 2015 è partito il corridoio umanitario della Chiesa Valdese che lo finanzia con i propri fondi otto per mille e ad entrambi i corridoi partecipa la Comunità di Sant’Egidio) che mette d’accordo tutti i partiti.

Anche se i numeri sono ovviamente simbolici – 1.100 persone arrivate è il bilancio di questi quattro anni e l’accordo prevede di arrivare a 1.500 entro fine 2020 – l’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite l’ha premiato nel 2019, prima che i corridoi si fermassero, con il prestigioso premio Nansen per spronare altri Paesi europei a seguire l’esempio italiano. La formula della Cei prevede, attraverso la Caritas, il coinvolgimento dei circa 70 diocesi e della società civile che accolgono e accompagnano per un anno le persone con servizi di tutoraggio e orientamento.

I primi arrivi sono previsti mercoledì 23 giugno a Roma dal Niger, paese poverissimo eppure generoso, dove una delegazione della Caritas italiana con l’Ong Gandhi ha già selezionato 43 persone, in prevalenza famiglie sub sahariane evacuate in precedenza dall’Unhcr dalla Libia. Dopo essere fuggiti attraverso il deserto hanno una nuova chance. A febbraio era giunta un altro gruppo di 70 persone.

«Anche durante le chiusura non ci siamo mai fermati – spiega Oliviero Forti, responsabile migrazioni della Caritas nazionale – ora con i contesti così mutati stiamo lavorando a una ripresa regolare per portare in Italia un numero congruo di rifugiati. È una esortazione ai governi europei a tutelare i profughi che si trovano in luoghi in cui non possono avere un futuro». Dopo l’arrivo rimarranno 15 giorni in quarantena negli alloggi procurati dalle diocesi cui sono stati assegnati.

Lo scorso 26 maggio sono arrivate 36 persone dalla Giordania. Si tratta di siriani, cristiani iracheni e somali che vivevano in alloggi urbani nella capitale giordana. Una famiglia siriana ha già trovato occupazione: il padre aveva rapporti di lavoro con un’azienda che li ha aiutati e all’arrivo in Italia lo ha assunto.

A settembre arriveranno infine gli studenti universitari selezionati nei campi profughi in Etiopia per entrare in 11 università italiane grazie a un protocollo siglato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dall’Unchr da Caritas Italiana, Diaconia Valdese e Gandhi Charity per proseguire il percorso accademico in Italia attraverso delle borse di studio.

Si tratta dei corridoi universitari, progetto partito nel 2019. Nel mondo solo il 3% dei rifugiati riesce ad accedere a studi universitari contro il 37% della media globale. Anche questo ponte tra l’Italia e i rifugiati riaccende una speranza - poter studiare - in milioni di bambine e bambini in esilio.



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