sabato 2 aprile 2016
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TARANTO Anche nel capoluogo ionico è iniziata la prassi dei respingimenti selettivi dei migranti. Sono tra i 150 e i 200 i profughi marocchini allontanati ieri dall’hotspot, inaugurato qualche settimana fa. Sono considerati migranti economici e non richiedenti asilo. Non sono «meritevoli » di protezione, perché provenienti dal Marocco, un «Paese sicuro» (anche se in Italia non c’è nessun elenco ufficiale che stabilisca quali siano i Paesi senza rischi, ndr). Per legge hanno una settimana di tempo per lasciare l’Italia e tornare in patria. Invece molti raggiungeranno altri parenti sul territorio italiano, divenendo di fatto irregolari, o si recheranno in altri Paesi europei, con il rischi che una volta individuati e accertato che sono stati fotosegnalati in Italia, verranno rimpatriati. Alla stazione di Taranto è un viavai di giovani marocchini, già dalla notte di giovedì. Il foglio di via tra le mani, infradito ai piedi, sono ancora storditi dalla «prova del mare». Tra loro poche donne ed un’anziana sola, che ripete: «Mi è rimasto solo Allah». Mohammed, 23 anni, racconta come è andata nell’hotspot. «Ci hanno preso l’impronta digitale – dice – poi ci hanno fatto una foto e ci hanno chiesto come ci chiamavamo e da dove venivamo. Quando hanno finito con tutti ci hanno dato i fogli e detto che dovevamo andare via. Io non ho capito cosa stesse succedendo. Una volta in stazione alcune persone (volontari di associazioni, ndr) mi hanno spiegato che posso fare un ricorso entro un mese. Andrò a Palermo o a Milano, dai parenti». Usciti dall’hotspot, il Comune ha messo a disposizione autobus che conducono gli invisibili alla stazione. Tutto organizzato, tranne l’accoglienza. Che tra loro ci fosse gente senza un soldo per pagarsi il biglietto del treno, non l’aveva pensato nessuno. «Che possiamo fare? - afferma il sindaco Ippazio Stefàno - Sono persone libere di andare dove vogliono in questa settimana. Le donne le posso portare con me in municipio, almeno hanno un posto dove sedersi e riposarsi. Penserò ad una struttura per accoglierli ma il ministero non ci dà direttive, non sappiamo come muoverci». La questione viene affrontata come fosse un’emergenza, ancora una volta. Ed allora arriva il sacerdote che distribuisce chili di pane. I giovani del coordinamento «Welcome Taranto» consegnano frutta e bottigliette d’acqua, mentre quelli dell’associazione di volontariato «Ohana» raccolgono sfoghi e confidenze. «La maggior parte di questa gente – racconta Enzo Pilò, referente dell’associazione Babele – non ha la possibilità economica di allontanarsi da qui. È un problema politico e sociale. In un Paese civile, duecento persone non possono essere lasciate per strada, senza cibo e senza soldi. Non possiamo permettere che l’hotspot per Taranto diventi una bomba sociale». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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