mercoledì 1 luglio 2020
Coinvolta la "Asso 28". La procura di Napoli chiederà il processo. Decisive le registrazioni audio della "Open Arms"
Il rimorchiatore Asso Ventotto

Il rimorchiatore Asso Ventotto

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E' stato un respingimento di massa. In violazione delle norme italiane e di quelle internazionali. Aggravato dalla presenza di minorenni. Per la prima volta si candida a finire davanti a un tribunale il caso di una nave privata italiana che anziché coordinarsi con le autorità del nostro Paese, ha condotto un gruppo di 100 profughi, tra cui donne e bambini, nel porto di Tripoli.

Era il 30 luglio 2018 e la Libia era già l'inferno che conosciamo. Tripoli, con l'assistenza del governo italiano, aveva registrato la sua area di ricerca e soccorso (Sar), ma nessuna autorità internazionale riconosce il Paese come “luogo sicuro” in cui ricondurre i migranti. A ridosso della piattaforma petrolifera della “Mellitah Oil & Gas”, la joint venture fra Eni e la compagnia statale petrolifera libica, la nave di servizio “Asso 28” era intervenuta per soccorrere un centinaio di migranti in acque internazionali. Da quel momento, a bordo di un vascello con bandiera tricolore, di fatto i naufraghi erano da considerarsi sotto la giurisdizione italiana. L'intervento, si legge nel documento trasmesso agli indagati, non venne comunicato alla centrale dei soccorsi di Roma e all'inizio neanche alla centrale di Tripoli, coinvolta successivamente per organizzare il trasbordo su una motovedetta quando la “Asso 28” era oramai entrata nelle acque territoriali libiche. L'armatore, la “Augusta Offshore”, attraverso il funzionario a terra, indagato con il comandante, sostiene di essersi coordinato con il “Marine department di Sabratah”, un'entità libica che per i magistrati è inesistente e che a Tripoli nessuno dice di aver mai sentito. In realtà a guidare le operazioni sarebbe stato un «ufficiale di dogana libico» che sarebbe giunto a bordo, ma mai individuato. Anche questa una violazione delle norme che obbligano a identificare le persone a bordo delle navi. Due settimane dopo il respingimento, il comandante rilasciò a Malta una dichiarazione di "evento anomalo", senza però fornire tutti i dettagli poi ricostruiti dai magistrati.

L'avviso di chiusura indagine è stato depositato dopo che i magistrati Barbara Aprea e Giuseppe Tittaferrante, con il coordinamento del procuratore aggiunto Raffaello Falcone, hanno chiuso un'investigazione lunga e difficile. La procura di Napoli, che ha svolto indagini avvalendosi degli approfondimenti svolti dalla Guardia costiera partenopea, è ora pronta a chiedere il processo. E, se il caso, a individuare altri responsabili attualmente non emersi a causa del silenzio di cui fino ad ora si sono avvalsi gli indagati. Agli atti ci sono i brogliacci della Guardia costiera italiana, i tabulati di tutte le comunicazioni dalla nave, i tracciati delle imbarcazioni. Documenti che raccontano da soli il perché a partire dal 2017 i governi italiani abbiano tentato di espellere le Ong dal Mediterraneo. Quella sera, infatti, qualcuno ascoltava, prendeva nota, e registrava parola per parola. Era la nave Open Arms, e ad ascoltare le comunicazioni c'era il capomissione Riccardo Gatti. Le registrazioni delle conversazioni sono state il tassello decisivo.

I reati contestati sono gravi. E comprendono l'abuso d'ufficio in concorso, lo sbarco in un porto non autorizzato e l'abbandono di minore. Nell'atto di chiusura indagine, che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio per gli indagati, vengono menzionate diverse violazioni di norme internazionali, a cominciare dalla Convenzione di Ginevra sui diritti dell'uomo, per finire al Testo unico sull'immigrazione in vigore in Italia.

Altre volte le navi italiane sono state sospettate di deportazioni illegali, ma in questa circostanza c'erano nell'area i testimoni più scomodi. E a Napoli magistrati determinati a non lasciar cadere quello che all'inizio era solo un sospetto.

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