giovedì 13 luglio 2017
Il segretario dem: «Il governo era fermo, non fu golpe ma democrazia. Il mio futuro? Decideranno gli italiani»
Il passaggio della "campanella" da Letta a  Renzi il 22 febbraio 2014 (Ansa)

Il passaggio della "campanella" da Letta a Renzi il 22 febbraio 2014 (Ansa)

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Se qualcuno ancora pensava che il 'litigio' tra Matteo Renzi ed Enrico Letta potesse ricomporsi, ora dovrà necessariamente ricredersi. «Non lo pugnalai alle spalle, fu il Pd a voler cambiare cavallo. Il suo governo era immobile, l’unica cosa di cui tutti si ricordavano era l’aumento dell’Iva», è la versione dei fatti che il segretario dem mette a verbale nell’atteso volume autobiografico 'Avanti' circa quei giorni (e quelle notti) di febbraio 2014 in cui scalzò Letta da Palazzo Chigi.

La replica del diretto interessato, di Enrico Letta, è il segno di una frattura che va ben oltre la politica: «Il silenzio esprime meglio il disgusto e mantiene meglio le distanze. Da tempo ho deciso di guardare avanti e non saranno queste ennesime scomposte provocazioni a farmi cambiare idea. Gli italiani sono saggi e sanno giudicare».

È l’intero paragrafo sulla 'successione' del febbraio 2014 che fa infuriare Letta. In effetti Renzi ci va giù pesante. «Alle primarie del 2007 Enrico prese l’11 per cento, come Civati qualche anno più tardi. Dopo i gazebo del 2013, fu Speranza a propormi di prendere in mano il timone. Nessun golpe, nessuna usurpazione, è una fake news. Avvenne tutto alla luce del sole».

Ma forse è ciò che viene dopo a ferire di più Letta: «Lui – prosegue Renzi – mise la modalità broncio. Al momento del passaggio della campanella fece la parte della vittima, che funziona sempre nel Paese. Non ebbe fair play. Come relazione mi lasciò un foglietto scritto a penna». Il libro è senza immagini, ma tutti ricordano la scena del passaggio di consegne con Letta che stringe malvolentieri la mano al suo successore e va via. Il passaggio sulla 'presa del potere' è ovviamente il più atteso del libro e quello che più fa discutere i giornalisti durante la presentazione avvenuta ieri al Maxxi di Roma.

Un 'one man show' di Renzi con i cronisti parlamentari. «Quella faccenda – ha detto poi a margine dell’evento l’ex premier – l’ho pagata nel rapporto personale con Enrico e anche come immagine nel Paese. Ma fu un passaggio sacrosanto ». Nel libro poi Renzi assicura che il famigerato #staisereno che precedette i giorni della staffetta era «sincero» e lo dimostrerebbe addirittura un’intercettazione dei Carabinieri del Noe nella famosa inchiesta Consip: nel gennaio 2014 «un importante generale mi chiede se esista la possibilità di un cambio della guardia a Palazzo Chigi. Io gli dico che no, non c’è».

Il libro di Renzi ha molti elementi personali che si mischiano alla narrazione dei mille giorni di governo e al nuovo programma elettorale. Appare particolarmente sincera la descrizione della «sofferenza» del 6 dicembre 2016, quando chiese alla segreteria lo scotch per chiudere i cartoni e tornare a Pontassieve. La parte di prospettiva del volume, lo spiega lo stesso ex premier, rilancia la vocazione maggioritaria del Pd: «Voglio vincere le elezioni. Io voglio portare il Pd al 40 per cento perché così governiamo da soli. Se prendiamo i voti si va al governo, se non prendiamo i voti ci va un altro. Ma non sono ossessionato dall’idea di tornare a Palazzo Chigi», spiega in serata in tivvù.

E fa parte del rilancio della vocazione maggioritaria anche il «no» pronunciato a future larghe intese con Berlusconi: «Ma come si fa a immaginarlo... ». Nel tour televisivo-radiofonico per presentare il suo libro-manifesto, Renzi si scaglia anche contro M5S e Lega: «Da padre sono preoccupato – dice in riferimento ai primi – che vada a gestire la politica estera chi ha dubbi sull’allunaggio. E con il populismo della Lega ci sono differenze abissali».

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