giovedì 14 marzo 2013
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Il giro esplorativo dei tre pontieri del Pd si conclude nel tardo pomeriggio, con un risultato assai deludente, ovvero "un buco nell’acqua". Insomma, di nuovo al punto di partenza, ovvero alle parole di Beppe Grillo pronunciate appena dopo il voto: il matrimonio tra democratici e Movimento Cinque Stelle “non s’ha da fare”. E mentre la nave di Pierluigi Bersani sembra ormai inabissarsi, Matteo Renzi scalda i motori del suo panfilo. In un’intervista all'Espresso, torna all’attacco. «Sono rimasto nel Pd e con Bersani perché sono leale alla “Ditta”», assicura il rottamatore, ma in caso di nuovo voto «se ci fossero le condizioni, ci starei» a fare il candidato premier. Renzi, convinto che «la legislatura sarà breve», ha deciso di gareggiare in caso di nuove elezioni (e forse anche in caso di non voto), come dimostrano le mosse studiate negli ultimi giorni, a partire dall’insistenza sull’abolizione del finanziamento pubblico. E senza rinunciare al suo leit motiv della rottamazione: «Se ci fossero le condizioni (per la premiership, ndr) ci starei. Nonostante Fioroni. E senza Fioroni». Insomma, tutti sono avvisati.Prima di quello che verrà, c’è invece quello che c’è. Ovvero la posizione di Pierluigi Bersani, che si trova tra l’incudine e il martello e che entro domani dovrà decidere se concedere il Senato a Monti e al Pdl o Montecitorio al Movimento Cinque Stelle come cambiale in bianco per un tentativo di governo. Un azzardo non da poco, anche alla luce delle dichiarazioni di Beppe Grillo (presidente del Movimento, come da Statuto e quindi leader più che legittimo), con le quali, ieri, ha messo una pietra tombale sopra il futuro italiano nella Ue. Ci si domanda nel Pd, come si possa raggiungere un accordo anche di pochi punti con una compagine che sul piano economico sono in antitesi con le posizioni dell’Unione europea e di quanto altro. Oppure l’altra alternativa è cedere Palazzo Madama ai montiani, che ieri, a quanto si apprende, si sarebbero detti disponibili ad una corresponsabilità anche con i voti del Pdl. Ma è Dario Franceschini che fa capire che aria ormai tira nel Pd, con un Bersani che ormai sembra proprio all’ultima spiaggia. Infatti dopo la mancata vittoria alle elezioni, la forza del leader Pd per imporre la sua decisione non è più la stessa. Franceschini appunto ha parlato apertamente di «gestione collegiale» del partito. Insomma quasi un preludio al possibile siluramento di Bersani in segreteria al congresso di ottobre, dove appunto l’attuale numero uno Pd potrebbe non arrivare da premier in carica. E quindi non in una situazione soft di passaggio di consegne. Chi preferirebbe concedere il Senato ai montiani considera appunto inutile dare fiducia al M5S e punta ad un asse con Scelta Civica in vista di scenari futuri, a partire dal candidato al Colle per arrivare anche ad un governissimo, con magari un ponte aperto per una piccola pattuglia del Pdl, in grado di garantire la maggioranza. Oppure in vista di nuove elezioni con un’alleanza che include pure i montiani. Saranno ufficialmente i gruppi parlamentari a decidere oggi pomeriggio nelle due riunioni separate di Camera e Senato. In pratica decideranno anche sul futuro di Renzi: da subito o per le nuove elezioni.
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