domenica 12 marzo 2017
In 5mila all'ultima giornata al Lingotto. L’ex segretario riparte attaccando scissionisti ed M5S e rivendica il garantismo sulle inchieste. La proposta: assegno universale per la famiglia
Matteo Renzi, il premier Gentiloni e il ministro Martina al Lingotto di Torino (Ansa)

Matteo Renzi, il premier Gentiloni e il ministro Martina al Lingotto di Torino (Ansa)

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La foto con i volontari, Gentiloni, Martina e i ministri chiude la tre-giorni al Lingotto di Matteo Renzi. Nel discorso conclusivo, che nei fatti lancia la sua candidatura verso le primarie del Pd del 30 aprile, l’ex segretario attacca a testa bassa il pezzo di sinistra che ha lasciato il partito: “Non basta salutare con il pugno chiuso e cantare Bandiera rossa per dirsi di sinistra. L’amarcord non serve al Paese, è solo una macchietta". In diversi non si aspettavano che l’ex presidente del Consiglio iniziasse il suo rilancio dal regolamento di conti con Bersani e D’Alema: “Hanno provato a distruggere il Pd per colpa della mia debolezza. Ma qui c’è una comunità vera e solida. Il Pd c’è stato, c’è e ci sarà dopo di noi. Mettetevi il cuore in pace. E a chi parla di Ulivo, ricordo che sono stati proprio loro a segare l’Ulivo dall’interno. Se Prodi fosse stato il capo del partito, non ci sarebbero riusciti… Voi siete la xylella, altro che Ulivo”, conclude con riferimento alla storia recente di una sinistra che fagocita i propri leader.

Parole di fuoco al termine di una kermesse che invece aveva messo in disparte il tema della scissione. E che alimenteranno nuove polemiche a sinistra. Renzi scansa, invece, il tema delle alleanze sollevato, con posizioni opposte, da Franceschini e Orfini: “Non sappiamo quale legge elettorale ci sarà. Ma noi diciamo che vincerà chi ha le idee e i progetti più forti. La prima alleanza è con i cittadini, non con i partiti”.

Dure critiche da Renzi arrivano anche al sindaco di Napoli Luigi De Magistris: “Non ci alleeremo mai con chi nega la legalità, Salvini deve parlare, è il principio della democrazia”. L’ex segretario va a testa bassa anche contro M5S: “Non ci alleiamo – prosegue – con chi è garantista a giorni alterni. Noi abbracciamo Virginia Raggi e la invitiamo ad andare avanti. Per chi di loro ci ha fatto accuse infamanti, ci vediamo in tribunale…”.

Rinfrancato dalla grossa affluenza nei tre giorni – oggi in 5mila per le conclusioni -, l’ex premier rilancia dunque la sua leadership all’insegna del “noi” (“ci vogliono più leader, non meno leader”), dell’Europa da cambiare e delle proposte che già aveva accennato nella relazione introduttiva di venerdì. In particolare, l’intervento universale per la natalità e l’idea di scegliere il prossimo candidato del Pse alla presidenza della Commissione Ue attraverso primarie transnazionali. Accenni anche a una battaglia in sede comunitaria contro i paradisi fiscali e per armonizzare il sistema fiscale tra i Paesi membri. Quanto ai temi etici, Renzi si ferma al metodo: “Anche se partiamo da posizioni diverse, noi rivendichiamo il fatto di affrontare questi temi attraverso il dialogo e il confronto e non affermando i nostri principi contro quelli degli altri. Casi come quello di dj Fabo ci chiedono di dare una risposta”.

Poco prima di Renzi, aveva preso la parola sul palco del Lingotto don Andrea Bonsignori del Cottolengo: “La vera politica si misura da come ha cura dei più deboli. Bisogna dare gambe alle ultime riforme nel sociale”.


Il nuovo programma economico di Nannicini: assegno universale alle famiglie e reddito d’inclusione.

Tocca all’economista Tommaso Nannicini, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, illustrare i punti forti della mozione Renzi-Martina al Congresso. Confermata l’anticipazione contenuta nell’edizione cartacea di Avvenire di oggi: l’ex premier fa proprio il ddl-Lepri, ora in commissione Bilancio al Senato, che istituisce l’assegno universale per le famiglie con figli. Circa 200 euro al mese per i primi tre anni di vita del bambino, 150 fino ai 18 anni e 100 sino ai 26. Le risorse vengono mettendo insieme la giungla di assegni e detrazioni ora esistenti. Inclusi anche incapienti e partite Iva, la soglia Isee oltre la quale non si ha il beneficio è molto alta: 70mila euro.

Nannicini si impegna anche per l’ampliamento del reddito d’inclusione sino ad arrivare, progressivamente, alle cifre ipotizzate dall’Alleanza contro la povertà: 7 miliardi di euro l’anno. Confermati anche gli impegni su web-tax e tassa sulle transazioni finanziarie.

Gentiloni: Pd forte per Italia forte. Lotti arriva ma non parla

Intorno alle 11 fa la sua apparizione al Lingotto il premier Paolo Gentiloni. Che però, di buon mattino, si era fatto precedere da un tweet: “Oggi al Lingotto con Matteo Renzi. Più forza al Pd per il futuro dell’Italia”. Il capo del governo si è seduto in prima fila e ha ascoltato gli interventi dei ministri e infine dell’ex segretario. Nessuna parola dal palco, dove però è salito per la foto finale con Renzi. Come del resto arriva e resta in silenzio anche l’altro grande atteso, il ministro dello Sport Luca Lotti. Nessuna dichiarazione da parte sua né sul Lingotto né sull’inchiesta-Consip in cui è indagato.

Orfini, il nodo delle alleanze, la legge elettorale e il “tradimento dei padri”

Prima dell’intervento di Renzi, il dibattito si infiamma quando sale sul palco il presidente dell’Assemblea dem, Matteo Orfini. “Sono perplesso”, ammette, di fronte al fatto che ieri il ministro della Cultura Dario Franceschini abbia voluto comunque lasciare le porte aperte alle forze moderate, come Ncd. Orfini vuole un posizionamento netto nel campo del centrosinistra e considera “contingente” l’alleanza di governo con Alfano. Il punto è che il discorso sulle allenze è “prematuro”, come commenta a latere il vicesegretario dem Lorenzo Guerini.

Tuttavia le strategie future riscaldano l’ambiente. Per Debora Serracchiani gli scissionisti troveranno la porta sbarrata se proveranno a “rientrare dalla finestra” attraverso lo stratagemma della lista di sinistra. Poco distante, il suo conterraneo Ettore Rosato la smentisce: “Non c’è alcun veto contro chi se n’è andato”.

In effetti è tutto in itinere e resterà in sospeso sino a quando non si capirà chi è il segretario del Pd e che piega prenderà il negoziato sulla legge elettorale. Piero Fassino spinge per una sistema di voto che conservi la governabilità e quindi sostenga la “vocazione maggioritaria” del Pd. Ma sono parole che cadono in un generale scetticismo circa la capacità del Parlamento di superare il proporzionale.

Sebbene il “perché” e il “come” della scissione sia stato sostanzialmente ignorato nei primi due giorni del Lingotto, ieri invece il tema è tornato prepotentemente alla ribalta ancora attraverso Orfini. “I nostri padri ci hanno insegnato il valore sacro del partito, e poi hanno messo in piedi un movimento. I nostri padri parlavano della ditta, e poi se ne sono scappati di casa come adolescenti. E da lì continuano a parlare di noi, forse sono ancora innamorati”. Evidentemente la ferita è ancora aperta e sanguinante.

Mentre padri e figli litigano, invece i “nonni” sostengono la mozione renziana: ieri Beppe Vacca e Biagio De Giovanni, oggi Luigi Berlinguer. E attraverso Gianni Pittella i “cugini” del Partito socialista europeo strizzano l’occhio al progetto dell’ex segretario.

Immigrati tra paura, sicurezza e integrazione. Minniti: severità e integrazione, le destre lucrano sulle ossessioni.

Grosso dibattito anche sul nodo dell’immigrazione. Ieri Emma Bonino aveva chiesto “più integrazione” e un approccio meno securitario. Oggi le risposte, incisive, dal palco. “Gli italiani hanno paura e noi non siamo in condizione di accogliere tutti degnamente”, scandisce a gran voce Debora Serracchiani. Poi interviene il ministro dell’Interno Marco Minniti e detta la linea: “Severità con chi esce dalla legge, integrazione per chi sta dentro la legge”. Politicamente, aggiunte Minniti, “sarebbe un errore gravissimo consegnare la sicurezza, che è un bene comune, alle destre. Loro lucrano sulle ossessioni”.

Richetti: ora il “noi" sia vero. Delrio: ma Renzi è il nostro Maradona.

Ultimo nodo, il ruolo e il compito del leader. “Matteo, il “noi” lo devi usare dall’inizio, non alla fine”, avverte Matteo Richetti, renziano critico. Gli risponde un altro renziano critico, il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio: “Il Napoli era una squadra, ma non chiedeva a Maradona di non giocare la palla”. Renzi, insomma, è il Maradona del Pd. E Minniti concorda: “La sinistra la smetta di mangiare i propri figli, i leader servono”.

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