venerdì 14 febbraio 2014
​Le prime ore da "quasi premier incaricato".
INTERVISTE Parisi: da Letta troppi errori | Russo: Renzi I In mano al Cav
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Le prime ore da quasi-premier ­incaricato non scalfiscono l’approccio leggero che Matteo Renzi ha anche alle cose serie: «Come andrà? Boh, chi lo può dire. In due mesi capiremo se funziona o meno», di­ce il segretario Pd in viaggio verso Firenze. Oggi è il giorno del 'giro d’onore' nella sua città, del­la visita ai luoghi che hanno segnato la sua e­sperienza da sindaco. È andato a un in­contro di fidanzati per San Valentino, e forse pen­serà a quanto lunga potrà essere la sua luna di miele con gli italiani. Sabato, invece, tornerà a Roma e salirà al Colle per le consultazioni come segretario del Pd, insieme ai capigruppo di Ca­mera e Senato. Lunedì potrebbe ricevere l’inca­rico. Le prossime non saranno ore vuote. Due squa­dre sono al lavoro. La prima, capitanata da Gra­ziano Delrio, si occupa del programma che ora unisce riforme (Italicum, Senato e titolo V) e ri­lancio economico. La seconda, guidata da Lo­renzo Guerini, si preoccupa di allargare il peri­metro della maggioranza cercando di coinvol­gere vendoliani, dissidenti 5 Stelle e leghisti. Lui, invece, aprirà il canale diretto con Alfano, Mau­ro e montiani per definire la squadra e smussa­re i punti programmatici divisivi.  Ma cosa ha in mente Renzi? «Voglio 60 giorni di fuoco, da sindaco», dice ai suoi. I due mesi che conducono alle Europee devono essere segnati da risultati concreti. E i più semplici e immediati da raggiungere appartengono ad un solo capi­tolo: costi della politica. Stipendi dei consiglieri regionali, salari dei manager pubblici, aggres­sione a doppi, tripli e quadrupli incarichi. Ecco il «tesoretto» da portare in dote agli italiani per riconquistare fiducia ed evitare che il voto per Strasburgo sia l’harakiri dei partiti tradizionali. Certo, il punto essenziale è il rilancio dell’eco­nomia e dell’occupazione. Il jobs act , per farla breve. Ma le risorse non si inventano da un gior­no all’altro. E su molti punti c’è da ingaggiare u­na battaglia campale con i sindacati. Prima bi­sogna reperire soldi e creare consenso. Perciò u­no dei primi incontri che Renzi ha in mente è quello con il responsabile della spending review Carlo Cottarelli. «Dobbiamo aprire la scatola del­la burocrazia», dice con toni quasi grillini. Di si­curo metterà in campo la sua proposta sulla di­rigenza pubblica, per rimuovere i «megadirettori generali» – così li chiama, alla Fantozzi – che gui­dano da anni, se non decenni, la macchina dei dicasteri. Quanto poi al jobs act , la parte 'rego­latoria' (il nuovo contratto d’inserimento fles­sibile per i giovani e il Codice semplificato) è molto più avanti della parte relativa alla politi­ca industriale. Il nodo più grosso, per Renzi, è tenere insieme la maggioranza ristretta di governo con la mag­gioranza allargata delle riforme. Ormai si mette in conto un parziale rallentamento dell’Italicum, perché il potere di veto dei piccoli partiti au­menterà. «Ma prima delle Europee dobbiamo chiudere, lo abbiamo promesso», ricorda il se­gretario nei primi contatti con Alfano. Quanto al­le riforme istituzionali, con il nuovo orizzonte del 2018 si ammette che i tempi potranno essere «più rilassati». E anche l’idea di aggiungere i ca­pitoli della forma di governo e della giustizia va considerata con le molle: dopo la 'staffetta' è vie­tato offrire altri segnali che sembrano assist a Berlusconi. In ogni caso il sindaco di Firenze non rinuncerà, nella trattativa per formare il nuovo esecutivo, ad agitare lo spettro del voto: «Io non ho paura, nemmeno con il Consultellum». Il programma che ha in mente Renzi dovrebbe avere 4-5 grandi obiettivi, sarà un testo molto più snello di quello presentato mercoledì da Let­ta. Quanto alla squadra, la certezza, tra tante vo­ci, sembra una sola: il sottosegretario alla Presi­denza del Consiglio dovrebbe essere Delrio. I ministri saranno 12, circa 50 i sottosegretari.
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