martedì 9 dicembre 2014
Le scorie dell’inchiesta romana sul Pd e sul governo: il premier alla Leopolda dei giovani rilancia il partito.
INTERVISTA De Palo: «Dimissioni come atto di maturità»
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​Di fronte ha la "Leopolda" dei giovani al gran completo: maggioranza e opposizione. Dietro, l’ombra della mafia infiltrata al Comune di Roma, quello con cui Matteo Renzi non è mai entrato in sintonia. Davanti c’è un rimpasto previsto per la fine della settimana. Dietro, Ignazio Marino – che non compare nel discorso di più di un’ora all’ex mattatoio della capitale – con il quale il dialogo sembrava archiviato, ma che ora appare indispensabile. Il premier non lo chiama al telefono. Lascia che a seguire le vicende del governo della città sia il vertice di Largo del Nazareno. Lui, il sindaco, è a piazza di Spagna per la cerimonia del Papa e si ferma a ragionare con il presidente della Regione Nicola Zingaretti. Renzi ha bisogno di uscire dalla palude ed è disposto a farlo rinnovando una giunta discussa dal lato dell’effiecienza, e in parte investito dall’inchiesta "Mondo di mezzo". E però è sull’impeccabilità che punta, senza mezzi termini: «Non sappiamo se quello che emerge dipinge dei tangentari all’amatriciana o dei mafiosi, lo dirà la magistratura, ma noi non lasceremo la capitale in mano ai ladri».Il presidente del Consiglio lo ha ripetuto fino alla nausea con i suoi in questi giorni: no a fare di tutt’erba un fascio. Il Pd deve essere diverso. Si tratta del partito che vuole traghettare il Paese in una fase nuova, che intende restituire credibilità all’Italia intera, sia agli occhi dei partner internazionali sia di fronte a un Paese disilluso. Il segretario democratico, allora, lo scandisce di nuovo alla Pelanda, dove va in scena l’incontro dei giovani democratici: «Non consentiremo a nessuno nel Pd di mettere in discussione ciò che siamo e quanto abbiamo fatto per l’Expo, per il Mose e le nuove regole dell’autoriciclaggio. Teniamo pulito perché Roma è troppo grande e bella per lasciarla a quella gentaccia là fuori».Niente compromessi. «Prendere una tangente è la cosa peggiore che un politico possa fare e con noi quelli hanno chiuso», continua Renzi. Il premier ha già arringato i suoi ragazzi dem con le linee del partito e del governo. Ma tutti attendono il capitolo che riguarda la città eterna. E lui parte in un crescendo: «Roma è bellezza, è cultura. Roma è la Capitale d’Italia e non la possiamo lasciare ai malfattori». E ai suoi giovani sottolinea con forza la differenze tra i presenti all’ex mattatoio che rappresentano «il gruppo dirigente» del Partito con «quelli che stanno lì fuori».Sempre con uno spirito garantista, Renzi cerca di prendere comunque le distanze. La giustizia «faccia rapidamente i processi e chi è colpevole paghi fino all’ultimo centesimo e all’ultimo giorno». Ma, aggiunge, «non facciamo le pulci alle amministrazioni precedenti, quando il sindaco di Genova si è¨ trovato al centro di una inchiesta che per lui era di poco conto abbiamo detto "Prego, accomodati". Ma siamo garantisti ed essere garantisti significa distinguere chi ha rubato e chi ora non dorme a causa di una fotografia di quattro anni fa». Insomma, intransigenza, ma anche prudenza, perché quello che fa ancora molto male all’inquilino di Palazzo Chigi è proprio la foto che ritrae il ministro Giuliano Poletti con alcuni protagonisti dell’inchiesta Mafia Capitale.
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