mercoledì 26 febbraio 2014
Il presidente del Consiglio incassa la doppia fiducia (e cita Arisa: «Andiamo controvento»). «No a un’Europa che ci dà la linea. Lavoro, normativa da rivoluzionare».
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Raccoglie segnali, appunta critiche e ascolta i consigli. Legge attentamente i commenti sull’effetto mediatico del suo primo discorso da premier, il giorno prima, al Senato. Poi, Matteo Renzi corregge il tiro. Anzi, dice di volerlo fare, ma riesce solo in parte, perché il capo del nuovo governo, che ottiene anche la fiducia della Camera (378 sì, 220 no e un astenuto), in fondo, non ha nessuna intenzione di cambiare il suo stile. Piuttosto, al massimo, cerca di «essere il più istituzionale e dialogante possibile. Provo a seguire il bon ton istituzionale». Ma il sindaco d’Italia che ascolta attento tra curiosità e insofferenza i 57 interventi del dibattito politico, con tanto di richieste, elogi e rimproveri (spesso anche insulti da M5S) replica puntualmente con gli stessi argomenti del giorno precedente, magari marcando ancora di più la distanza dell’Italia dall’Europa dei mercati. E insiste con più decisione ancora su due argomenti: la responsabilità della riuscita o meno del progetto è tutta dell’esecutivo: «Abbiamo una solachance da cogliere qui e adesso». E con la riuscita si dovrà restituire dignità alla politica.«Per questo governo non ci sono alibi – esordisce – . Se ci riusciremo abbiamo fatto il nostro dovere, se non ci riusciremo sarà solo colpa nostra; non è un atto di coraggio ma di responsabilità», ricorda allora il premier, alzandosi in piedi con sollievo dopo la giornata interminabile per chi non è avvezzo alle maratone parlamentari. O anche per chi, neofita, entra in aula e viene sopraffatto dallo «stupore. Entrando in quest’aula si prova un senso di stupore vero e vorrei dirlo in modo non formale». Già, perché il presidente del Consiglio ha un fine ultimo: ed è far comprendere agli «onorevoli» che onore sia appartenere a un Parlamento che ha visto costruire la storia d’Italia. Questa volta, Renzi – accusato di non aver fatto citazioni nel suo primo discorso (solo Gigliola Cinquetti) – si è "portato" un elenco di personalità di spicco. Parte da La Pira, don Milani, ma anche Moro, Berlinguer, perfino Chesterton. Personalità in grado di scontrarsi e insieme dialogare nel rispetto reciproco. Poi, però, torna il "giovane Renzi" e non si trattiene dal prendere in prestito dalla vincitrice di Sanremo Arisa le parole della sua canzone: «Noi siamo qui controvento, con il gusto di rischiare, per dire una cosa difficile: la pagina più bella questo Paese ancora non l’ha vista».Il giovane Renzi, allora, si lascia andare di nuovo. Per «sintetizzare in tre tweet» il «contesto politico in cui ci ritroviamo». Il primo riguarda la fotografia che vede «il mondo che corre il doppio rispetto all’Europa» e un’Italia che, all’interno dell’Europa paga «un grado di difficoltà maggiore rispetto agli altri Paesi». Un’Italia da «semplificare». Occorre una svolta: «Cambiare la P.a., il sistema della giustizia, il fisco, la vita dei lavoratori e degli imprenditori». Insomma, l’Italia non può «mantenere la stessa piattaforma che ha da anni» nei confronti dell’Europa, piattaforma che gli ultimi governi «e in particolare quello Letta» ha cercato di invertire, con una politica che «sarà punto di riferimento», dice con un omaggio al predecessore che, seduto di fronte, evita di incrociargli lo sguardo. «L’Europa oggi non dà speranza», ma «noi vogliamo un’Europa dove l’Italia non va a prendere la linea per sapere che cosa fare, ma dà un contributo fondamentale, perché senza l’Italia non c’è l’Europa». E il semestre di presidenza dell’Ue può rappresentare una grande occasione, dice, deciso a fare il primo viaggio internazionale «a Tunisi e non a Bruxelles».Agli «onorevoli», dunque, chiede di più: «Fuori da qui – insiste – c’è gente che si aspetta che la politica smetta di essere un fiume di parole vuoto, vuole che questa Aula sia il luogo dal quale tentare di fare uno schiocco delle dita tutti insieme, come la Famiglia Addams». Il Sindaco indossa ormai di nuovo la giacca di Fonzie e torna ai problemi immediati, a cominciare dalla scuola. Serve una «gigantesca battaglia perché la stabilità della sicurezza scolastica sia più importante della stabilità dei conti», dice, riprendendo il discorso iniziato al Senato. Perciò, spiega, oggi sarà a Treviso tra scuole e fabbriche. Poi sarà la volta di quel sud segnato dalla mafia. Ricorda la strage di Capaci: «Quando sento parlare di mafia con leggerezza, di pizzini, avverto un brivido di dolore».
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