sabato 21 giugno 2014
Al Consiglio Ue di Bruxelles del 26 e 27 l’Italia vuole un testo pro-crescita: sarà pronto entro martedì. Il premier: serve «un cambiamento culturale».
Mosse prudenti ma sostanziali per strappare margini
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Alla fine Renzi, per quello slogan "nomina sunt consequentia rerum", è stato quasi canzonato dai suoi colleghi premier. «Abbiamo capito Matteo, abbiamo capito...», gli ha detto Hollande quando, per l’ennesima volta, il premier italiano è intervenuto per dire che sarebbe stato un disastro infilarsi nella partita delle nomine senza prima ottenere, nel prossimo Consiglio Ue del 26 giugno, un documento «cristallino» in cui sparisce la parola "rigore" e domina la crescita. Al documento l’Italia tiene così tanto da aver avocato al ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan l’ultima rivisitazione del testo prima che, martedì, arrivi in mano agli sherpa di Bruxelles.Renzi arriva a Parigi in tarda mattinata, preceduto da una trionfale copertina de "Le monde", e Hollande lo "sequestra" per un bilaterale non lungo, ma cruciale per dare l’indirizzo al summit dei capi di Stato e di governo del Pse. La linea poi la illustra alla stampa lo stesso presidente francese: «La priorità che abbiamo discusso è la crescita, utilizzando tutti i margini di manovra e le flessibilità previste dall’attuale Patto di stabilità. Non si tratta in alcun modo di modificare le attuali regole», precisa Hollande.Gli altri leader socialisti fanno eco a Parigi e Roma: «Il Patto si chiama di "stabilità" e "crescita", ma pare che della seconda parola nessuno se ne sia accorto», dicono uno dopo l’altro, come avessero concordato le dichiarazioni da rendere all’esterno, Werner Faymann (Austria), Elio Di Rupo (Belgio), Helle Thorning-Schmidt (Danimarca), Victor Viorel Ponta (Romania), Robert Fico (Slovacchia), Bohuslav Sobotka (Repubblica ceca), Sigmar Gabriel (vicecancelliere tedesco), Martin Schulz (futuro, e confermato, presidente dell’Europarlamento).Certo, la politica europea è fatta anche di tanto pragmatismo. Dunque nessuno sfida Angela Merkel in campo aperto. Flessibilità sì, ma nel rispetto delle regole e dei conti da salvaguardare. E soprattutto, nessuno fa da sponda a Cameron e agli inglesi contro Juncker, il candidato ufficiale della cancelliera. «Rispettiamo l’indicazione dei popolari», spiega Hollande ricordando che il Ppe ha il maggior numero di parlamentari. Dunque tanto vale far pesare il proprio «sì» al futuro presidente della Commissione controbilanciandolo con forti presenze socialiste negli altri ruoli-chiave dell’Unione (primo fra tutti, il vertice del Consiglio Ue) e influenzando pesantemente l’indirizzo di politica economica. «Italia e Francia sono unite e hanno gli stessi obiettivi, crescita e investimenti», rimarca Hollande. Riconoscendo a Renzi «dinamismo ed energia» necessari per imporre la svolta a Bruxelles.Tuttavia, chiude Hollande, guai a pensare che il semestre a guida italiana sarà risolutivo di tutto, guai a creare aspettative che poi non possono essere rispettate in pieno. Anche Renzi, in fondo, da Parigi fa trapelare un ottimismo cauto e tiene il profilo basso. «L’Italia come sempre onorerà gli impegni. Quello che serve è un cambio culturale, un cambio di mentalità per rispondere alle richieste dei cittadini», dice soffermandosi sui margini di flessibilità che già sono patrimonio degli accordi europei. Quanto alle nomine, Renzi ha riaffermato il principio della parità di genere. Una posizione che sembra portare la danese Helle Thorning-Schmidt al vertice del Consiglio Ue. E che, forse, potrebbe aprire uno spiraglio alla Mogherini per guidare la politica estera comunitaria.
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