mercoledì 28 maggio 2014
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​Questo voto vuol dire che il vento del cambiamento deve arrivare anche in Europa. Se pensano di passare intere settimane a comporre la Commissione con il Cencellum, allora non hanno capito nulla. Prima di tutto bisogna scrivere un’agenda nuova: dobbiamo poter spendere, dobbiamo avere risorse per rilanciare crescita e occupazione». Matteo Renzi ragiona a voce alta con i collaboratori lungo il voto Roma-Bruxelles. Sta per iniziare il suo secondo Consiglio Ue, ma rispetto a poche settimane fa è cambiato tutto. Il suo è l’unico governo dei 28 - insieme a quello tedesco - che ha vinto le Europee, tra poco più di un mese l’Italia guiderà il semestre europeo, allo stesso tempo si insedieranno un nuovo Parlamento e una nuova Commissione. «È un’occasione unica, irripetibile, dobbiamo far valere la nostra centralità. Ora o mai più...». Una centralità confermata anche da crescenti contatti con il governatore Bce Mario Draghi, che anche ieri - fanno notare fonti diplomatiche italiane - ha sferzato i governi sugli stessi fronti indicati da Palazzo Chigi.All’arrivo nella capitale belga Renzi trova però una situazione confusa. I popolari che formalmente, ma con scarsa convinzione, continuano a mettere al centro dello scacchiere il nome di Juncker come presidente del governo comunitario. I socialisti depressi per la débacle di Hollande in Francia, al punto da stappare un Prosecco alla sola vista del leader italiano. In pochi giorni, Renzi è diventato l’unico capo di governo che può guardare negli occhi Angela Merkel con la forza dei numeri. E nelle sue dichiarazioni ufficiali non fa nulla per nasconderlo: «Credo sia necessario portare l’Europa a parlare il linguaggio concreto dei cittadini. C’è bisogno di una Ue più attenta agli investimenti sulla scuola, sulle tecnologie, più attenta alle condizioni di vita delle famiglie». Parole seguite da un gesto concreto: snobbato il prevertice dei leader socialisti, Renzi si precipita - raggiunto poi da Hollande e dal belga Di Rupo - al museo ebraico, colpito da un attentato omicida il sabato prima del voto. Il lungo abbraccio con Riccardo Pacifici preferito alle strategie per comporre la grande coalizione con il Ppe.Di fronte a questa «agenda nuova», tanto Juncker quanto Schulz rappresentano l’abito grigio della burocrazia comunitaria. Renzi ne ha discusso con Obama, è una posizione che ha condiviso con Cameron e che ha espresso anche alla cancelliera Merkel (ieri il premier ha sentito anche Putin sul dossier Ue-Ucraina). Ma la strategia per mettere ai vertici delle istituzioni comunitarie volti nuovi richiede pazienza e scaltrezza. «Prima ci dobbiamo mettere d’accordo su cosa fare, poi vengono i nomi. Nomina sunt consequentia rerum», ripete alla stampa e ai suoi colleghi. Poi però fa capire che le decisioni dovranno fermarsi a lungo tra le sue mani: «Rappresento l’Italia, uno dei più grandi Paesi dell’Ue...». Sembrano parole di circostanza, ma nella calda cena con i 28 leader diventano più pesanti: «Guido il partito che ha ottenuto il miglior risultato assoluto nel Paese con la più alta affluenza. I cittadini mi hanno dato un mandato per salvare l’Europa cambiandola».L’affondo è stato concordato nel colloquio del mattino con Giorgio Napolitano. In un’ora di faccia a faccia, il capo dello Stato ha consigliato al premier di ascoltare con attenzione le 28 posizioni in campo, gli ha illustrato le difficoltà di una partita (quella della nuova Commissione) a incastri, in cui ogni casella si regge sulle altre e in cui, alla lunga, i leader fanno prevalere gli interessi nazionali. Palazzo Chigi e Quirinale concordano sul fatto che l’Italia debba avere un incarico di primo piano: si parla della presidenza dell’Europarlamento associata ad un dicastero di peso, o anche ad un vicepresidente della Commissione con portafoglio pesante. Ma non si esclude nulla: se saltano Juncker e Schulz, si ricomincia daccapo. C’è una batteria di secondi nomi per il vertice del governo di Bruxellex con diversi quarantenni "sviluppisti", e in questa lista c’è anche Enrico Letta. Ma davvero, preliminare ad ogni nome, è l’intesa sulla crescita. Renzi nel semestre italiano non vuole riscrivere i Trattati, ma concretizzare quella parte di accordi comunitari legata allo sviluppo. In concreto: riscrivere la regola del 3 per cento scorporando dal deficit gli investimenti produttivi e consentendo all’Italia di usare fondi Ue altrimenti da restituire.
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