sabato 20 giugno 2009
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Ultimi appelli a votare sì, no o ad astenersi in vista dei tre referendum abrogativi di alcune parti della vigente legge elettorale per il Parlamento nazionale: le urne referendarie si aprono infatti domani (dalle 8 alle 22) e resteranno aperte lunedì, dalle 7 alle 15. L’attenzione degli osservatori e degli interessati è incentrata sul quorum, perché per essere valido il referendum, secondo la Costituzione, deve votare almeno la metà degli aventi diritto. Una soglia, quella del 51 per cento, che non è stata mai raggiunta nelle ultime consultazioni referendarie. I tre quesiti, nati con l’intenzione di rendere tendenzialmente bipartitico il Parlamento, hanno provocato divisioni nelle coalizioni ma anche dentro i singoli partiti. La legge in vigore, nota come 'Porcellum', prevede sia alla Camera (su base nazionale) che al Senato (su base regionale) un consistente premio di maggioranza in seggi a «quella lista o a quella coalizione di liste» che abbia raggiunto la maggioranza relativa dei voti. In particolare la legge per la Camera garantisce almeno 340 seggi (su 630) al vincitore delle elezioni. L’operazione di chirurgia istituzionale, attraverso il referendum, si propone in sostanza di cancellare dalla legge elettorale– sia per la Camera che per il Senato (quesito numero 1 e quesito numero 2) – il riferimento alle «coalizioni». Questo, di fatto, impedirebbe la formazione di alleanze di più partiti alle elezioni, negando alle liste minori l’accesso al premio di maggioranza. Effetto indotto quello di far soggiacere tutte le forze politiche allo sbarramento del 4 per cento alla Camera e dell’8 per cento al Senato, che oggi - in caso di apparentamento con altre liste – è fortemente mitigato. Il terzo quesito mira invece a di impedire le candidature multiple, ovvero vietare che ci possano essere leader di partito che si presentano contemporaneamente in diverse circoscrizioni. La tesi principale dei promotori (Guzzetta e Segni) è che se il referendum passasse, il quadro politico si semplificherebbe ancora di più, costringendo le diverse formazioni del centrodestra e del centrosinistra a presentarsi alle elezioni sotto un unico simbolo. Chi si oppone al referendum fa invece notare che nessuno impedirebbe ai partiti presentatisi sotto lo stesso simbolo di dividersi nuovamente in Parlamento dopo le elezioni e, soprattutto, mette l’accento sul fatto che il premio in seggi potrebbe trasformare in maggioranza assoluta partiti che hanno ottenuto percentuali non rappresentative della volontà degli italiani. La mappa geopolitica del voto è, come si diceva, piuttosto frastagliata. Contrarissimi al referendum sono la Lega, l’Mpa di Raffaele Lombardo, l’Udc di Pier Ferdinando Casini, i partiti della sinistra rimasti fuori dal Parlamento (Rifondazione, Pdci, Sinistra e Libertà, Verdi), la Destra di Francesco Storace, l’Idv di Antonio Di Pietro e i radicali. Queste due ultime formazioni si sono espresse per il no. Tutte le altre invitano i propri elettori a disertare le urne. Il Pdl, inizialmente favorevole al sì, dopo la cena post-elezioni tra Berlusconi e Bossi, ha deciso di lasciare libertà di voto. Silvio Berlusconi ha fatto sapere che voterà sì, il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto che si asterrà; intensa campagna elettorale a favore del sì da parte della componente del Pdl che veniva da An, Fini in testa. Ancora ieri il presidente della Camera ha rivolto un appello a partecipare al voto. Anche il Pd si presenta in ordine sparso alla prova referendaria di domenica. La posizione ufficiale, fatta approvare dal segretario Dario Franceschini, è a favore del sì. Ma molti esponenti (tra cui Rutelli, Chiti, Bassanini) sono favorevoli all’astensione.
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