Berlusconi ha annusato un pericolo: sull’onda emotiva della crisi giapponese, il referendum sul nucleare può essere un’insidia. Perché farebbe crescere il quorum su un altro quesito ben più 'sensibile', quello in cui si chiede l’abrogazione del legittimo impedimento. Il ragionamento fila, i fedelissimi sono d’accordo, e il premier decide di mandare in avanscoperta il ministro Romani. «Le scelte non devono essere di pancia», dice il titolare dello Sviluppo economico. Dello stesso parere è anche la collega all’Ambiente Stefania Prestigiacomo, che in un duro questiontime alla Camera ribadisce come il tema della sicurezza vada affrontato «in sede comunitaria» e non nazionale. Ma Romani va anche oltre, e sembra quasi lanciare la campagna referendaria: «Noi daremo informazioni precise e rigorose all’opinione pubblica». E meno male, si sussurra in serata durante l’ufficio di presidenza del Pdl, che il pericolo election- day è scampato: se - dicono i presenti - la data del referendum fosse stata accorpata con quella delle amministrative, si sarebbe potuto produrre un «dannoso» effetto-trai- no tra i due voti. È invece vivo e vegeto l’altro ostacolo sulla strada del referendum: il 'no' dei governatori (anche di centrodestra) all’installazione di siti sul loro territorio. Le parole di Vendola danno l’idea del clima: «In Puglia le centrali le potranno fare solo con i carrarmati... ».Ma in realtà è un coro senza eccezioni: solo ieri si sono pronunciati contro i siti Cappellacci (Sardegna), Errani (Emilia-Romagna), Polverini (Lazio), Rossi ( Toscana) le giunte di Calabria e Sicilia. Una posizione che pesa, alla quale l’esecutivo ha involontariamente dato corda: il sottosegretario allo Sviluppo economico Stefano Saglia, intervenendo nelle commissioni unificate Ambiente e Attività produttive, si è lasciato scappare che «non si fa un impianto contro le autorità regionali...», e che prima di individuare i terreni si arriverà al 2012. Un mezzo scivolone che ha dato vigore al forcing delle opposizioni, con Bersani che prova ad infilarsi nelle incertezze di esecutivo e maggioranza («è un piano irrealistico e sbagliato») e pensa ad una più decisa mobilitazione del Pd sul referendum (l’Idv ci è già dentro fino al collo). Per il premier è una tegola nuova. Con un bersaglio - il legittimo impedi- mento - troppo significativo. Che si aggiunge ai tanti nodi cui deve venire a capo. Ieri notte li ha snocciolati in un ufficio di presidenza del partito cui hanno partecipato, in vista delle amministrative, anche i coordinatori regionali. A loro ha ribadito di essere «perseguitato per delle cene», che occorre «andare in tv» a spiegare una riforma della giustizia «chiesta dai cittadini » e apprezzata dal «77 per cento dei nostri elettori». E restando ai sondaggi, informa che Fli è al 2,6. Ha poi confermato che a Napoli il candidato del centrodestra sarà l’imprenditore Gianni Lettieri, contro il quale si sono sollevati pezzi del partito e del mondo produttivo locale. Infine scherza ma non troppo sull’allargamento della maggioranza: «Arriviamo a 330, anzi... 336, l’anno della mia nascita».