giovedì 17 marzo 2011
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Berlusconi ha annusato un pe­ricolo: sull’onda emotiva del­la crisi giapponese, il referen­dum sul nucleare può essere un’insi­dia. Perché farebbe crescere il quo­rum su un altro quesito ben più 'sen­sibile', quello in cui si chiede l’abro­gazione del legittimo impedimento. Il ragionamento fila, i fedelissimi so­no d’accordo, e il premier decide di mandare in avanscoperta il ministro Romani. «Le scelte non devono essere di pancia», dice il ti­tolare dello Sviluppo economico. Dello stesso parere è an­che la collega al­l’Ambiente Stefania Prestigiacomo, che in un duro question­time alla Camera ri­badisce come il te­ma della sicurezza vada affrontato «in sede comunitaria» e non nazionale. Ma Romani va anche oltre, e sembra quasi lanciare la cam­pagna referendaria: «Noi daremo informazioni precise e rigorose all’o­pinione pubblica». E meno male, si sussurra in serata durante l’ufficio di presidenza del Pdl, che il pericolo e­lection- day è scampato: se - dicono i presenti - la data del referendum fos­se stata accorpata con quella delle amministrative, si sarebbe potuto produrre un «dannoso» effetto-trai- no tra i due voti. È invece vivo e vegeto l’altro ostaco­lo sulla strada del referendum: il 'no' dei governatori (anche di centrode­stra) all’installazione di siti sul loro territorio. Le parole di Vendola danno l’idea del clima: «In Puglia le centrali le potranno fare solo con i carrarma­ti... ».Ma in realtà è un coro senza ec­cezioni: solo ieri si sono pronunciati contro i siti Cappellacci (Sardegna), Errani (Emilia-Romagna), Polverini (Lazio), Rossi ( Toscana) le giunte di Calabria e Sicilia. U­na posizione che pe­sa, alla quale l’ese­cutivo ha involonta­riamente dato cor­da: il sottosegretario allo Sviluppo econo­mico Stefano Saglia, intervenendo nelle commissioni unifi­cate Ambiente e At­tività produttive, si è lasciato scappare che «non si fa un im­pianto contro le au­torità regionali...», e che prima di in­dividuare i terreni si arriverà al 2012. Un mezzo scivolone che ha dato vi­gore al forcing delle opposizioni, con Bersani che prova ad infilarsi nelle in­certezze di esecutivo e maggioranza («è un piano irrealistico e sbagliato») e pensa ad una più decisa mobilita­zione del Pd sul referendum (l’Idv ci è già dentro fino al collo). Per il premier è una tegola nuova. Con un bersaglio - il legittimo impedi- mento - troppo significativo. Che si aggiunge ai tanti nodi cui deve veni­re a capo. Ieri notte li ha snocciolati in un ufficio di presidenza del partito cui hanno partecipato, in vista delle am­ministrative, anche i coordinatori re­gionali. A loro ha ribadito di essere «perseguitato per delle cene», che oc­corre «andare in tv» a spiegare una riforma della giustizia «chiesta dai cit­tadini » e apprezzata dal «77 per cen­to dei nostri elettori». E restando ai sondaggi, informa che Fli è al 2,6. Ha poi confermato che a Napoli il candi­dato del centrodestra sarà l’impren­ditore Gianni Lettieri, contro il quale si sono sollevati pezzi del partito e del mondo produttivo locale. Infine scherza ma non troppo sull’allarga­mento della maggioranza: «Arrivia­mo a 330, anzi... 336, l’anno della mia nascita».
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