
Il cardinale Becciu (il secondo da sinistra in basso) assiste a una delle udienze del processo di primo grado in cui era imputato - Archivio
Il cardinale Angelo Becciu esprime il suo «profondo sconcerto» per la «lettura dei messaggi pubblicati sul quotidiano "Domani"» che riguardano i testi di alcune chat, finora secretate dai magistrati vaticani, e delle quali le difese degli imputati - tra cui quella dello stesso Becciu - avevano invano chiesto la pubblicazione nel corso delle numerose udienze del procedimento, conclusosi poi in primo grado con varie condanne (a cinque anni e sei mesi quella del porporato, per truffa e peculato, reati dei quali si è sempre dichiarato innocente). «Tali rivelazioni confermano quanto da me denunciato sin dall'inizio - afferma il cardinale in una dichiarazione distribuita ai mass media - e che, in gran parte, il processo ha già dimostrato. Solo scelte discutibili adottate dal Tribunale, su sollecitazione dell'Ufficio del Promotore di Giustizia, hanno consentito a queste conversazioni di rimanere segrete».
«Sin dal primo momento ho parlato di una macchinazione ai miei danni - dichiara Becciu nella nota -: un'indagine costruita a tavolino su falsità, che cinque anni fa ha ingiustamente devastato la mia vita e mi ha esposto a una gogna di proporzioni mondiali. Ora, finalmente, spero che il tempo dell'inganno sia giunto al termine». Il cardinale fa esplicito riferimento a uno dei messaggi riportati: «Se scoprono che eravamo tutti d'accordo è finita», scrive a un certo punto Francesca Immacolata Chaouqui a Genoveffa Ciferri. «Una frase - commenta Becciu - che, da sola, è più che eloquente». «Da questa mattina - aggiunge il porporato -, molte persone mi stanno contattando, indignate e scandalizzate, dopo aver letto questi ulteriori messaggi. Rimane un'amarezza profonda nel constatare che individui capaci di tali nefandezze nei confronti di un cardinale - o indifferenti di fronte a esse - continuino a ricoprire ruoli di prestigio in Vaticano», aggiunge. «Ho già conferito mandato ai miei avvocati, Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, di intraprendere ogni azione giudiziaria necessaria per fare piena luce su condotte così sconcertanti, che nulla hanno a che fare con la ricerca della verità», conclude Becciu.
Le chat omissate (119 su 126 messaggi complessivi), rese note dal quotidiano, sono state depositate da Rodney Dixon, avvocato di Raffaele Mincione, anch'egli imputato e condannato a cinque anni e sei mesi in primo grado, in una denuncia al relatore speciale dell'Onu, Margaret Sutterhwaite, che gestisce l'ufficio che vaglia l'indipendenza dei giudici all'interno dei processi. Riguardano conversazioni tra Francesca Immacolata Chaouqui, e Genoveffa Ciferri, un'amica di monsignor Alberto Perlasca (prima imputato nel processo, poi divenuto superteste dell'accusa). In queste chat Chaouqui sembra anticipare regolarmente dettagli dell'inchiesta e particolari degli interrogatori, che a rigore non avrebbe dovuto conoscere. A novembre del 2020, ad esempio, secondo il testo delle chat rivelate dalla difesa di Mincione e riportate da "Domani", Chaouqui scrive: «Perlasca verrà prosciolto. Su questo non ci sono dubbi. Il proscioglimento non lo mettere più in dubbio. La situazione è questa e nessuno la può cambiare. Se per tranquillizzarlo vuoi parlare con Diddi (il promotore di giustizia, cioè il pm vaticano ndr) o con la gendarmeria non c'è problema». Perlasca, in effetti, uscì dal processo.
Il 3 settembre del 2020 Ciferri scrive a Chaouqui: «Buongiorno Francesca. Scrivimi per bene quella cosa che desiderano i magistrati». E in un altro dei tanti messaggi nota: «Fantastico come tu faccia a sapere queste indiscrezioni! Comunque non mi permetterò mai di chiederti come fai e con chi ti rapporti. Mi basta aver notato che sono veritiere al cento per cento». Chi, dunque, informava Chaouqui? Diddi ha sempre negato di aver avuto colloqui con lei, ma l'interrogativo resta. Così come va ricordato che Chaouqui era coinvolta nel caso della rivelazione di documenti riservati del Vaticano, legati alla commissione denoninata Cosea, in funzione in Vaticano tra il 2013 e il 2014. Il 7 luglio 2016 Chaouqui fu condannata a dieci mesi di reclusione, pena poi sospesa.
Anche la difesa di Mincione, gli avvocati Gian Domenico Caiazza, Andrea Zappalà, Ester Molinaro e Claudio Urciuol, ha rilasciato una dichiarazione sul caso: «Secondo i legali, «le chat rivelano il coinvolgimento attivo dell'autorità giudiziaria vaticana e degli investigatori, nonché di soggetti estranei alle indagini e al processo, nella preparazione della testimonianza di monsignor Alberto Perlasca. Le Interferenze per orientare la narrazione accusatoria contro alcuni degli imputati. La promessa che Perlasca sarebbe stato prosciolto, avrebbe riottenuto un ruolo all'interno del Vaticano e anche accesso ai propri conti, in cambio della sua "collaborazione"». «Le conversazioni emerse denunciano che il processo è stato, sin dalla sua origine, gravemente falsato. L'assenza di imparzialità e la manipolazione del principale testimone d'accusa - concludono gli avvocati - non rappresentano semplici vizi formali, ma elementi che minano la validità e la credibilità dell'intero giudizio».
Il processo riprenderà in secondo grado a partire dal 22 settembre prossimo. Quando la data era stata annunciata, Becciu aveva dichiarato: «Nonostante sia evidente la volontà di umiliarmi come cardinale, non smetterò mai di proclamare la mia assoluta innocenza confidando sempre nell'accertamento della verità».
Recentemente su questo processo sono stati pubblicati due libri, entrambi con forti riserve sull'operato dei giudici vaticani. Uno più divulgativo, curato dal giornalista e scrittore, Mario Nanni (scomparso il 2 aprile), "Il caso Becciu. (In)giustizia in Vaticano" (Mediabooks). L'altro più robusto sotto il profilo giuridico, intitolato "Il processo Becciu. Un'analisi critica" (Marietti1820), a cura di Geraldina Boni, Manuel Ganarin e Alberto Tomer, rispettivamente ordinario, associato e ricercatore di Diritto canonico ed ecclesiastico presso l'Università di Bologna. In quest'ultimo volume si parla chiaramente di «anomalie procedurali evidenziate».