mercoledì 7 aprile 2021
Anziani e migranti più colpiti dai tagli ai servizi. «Stop ai brevetti dei vaccini o presto nuove varianti». Il Covid alibi per reprimere in Ungheria, Brasile, Filippine, Cina. I casi Myanmar e Egitto
Dimostranti durante una protesta contro il colpo di stato militare a Mandalay, Myanmar

Dimostranti durante una protesta contro il colpo di stato militare a Mandalay, Myanmar - Ansa

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L'annus horribilis della pandemia da Covid-19 ha evidenziato la pesante eredità di decenni di tagli alla spesa per i servizi pubblici e la sanità. Scelte politiche che hanno peggiorato disuguaglianze e discriminazioni. Ma in molti Paesi la pandemia è stata sfruttata come alibi per acuire la repressione contro minoranze e oppositori. E l'accaparramento dei vaccini da parte di Stati Uniti ed Europa, che impediscono la sospensione dei brevetti per una produzione diffusa tesa a immunizzare tutta la popolazione mondiale, potrebbe portare tra meno di un anno a nuove varianti più aggressive che vanificherebbero la campagna vaccinale dei Paesi sviluppati.

È l'analisi che emerge dal Rapporto 2020-2021 di Amnesty International, presentato oggi anche in Italia, che contiene un’approfondita analisi sulle tendenze globali nel campo dei diritti umani e schede su 149 stati. Nonostante l'impatto "democratico" della pandemia, che non ha risparmiato paesi e classi sociali, le conseguenze sugli stessi operatori sanitari, sui lavoratori migranti e informali sono state molto più gravi. Alcuni leader poi hanno sfruttato la crisi e hanno usato il Covid-19 per attaccare ulteriormente i diritti umani.

«La pandemia ha brutalmente mostrato e acuito le disuguaglianze all’interno degli stati e tra gli stati - dichiara Agnès Callamard, nuova segretaria generale di Amnesty International - e ha evidenziato l’incredibile disprezzo che i nostri leader manifestano per la nostra comune umanità. Decenni di politiche divisive, di misure di austerità errate e di scelte di non investire nelle traballanti strutture pubbliche hanno fatto sì che in tanti finissero per essere facili prede del virus».

La pandemia ha peggiorato la già precaria situazione dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei migranti in molti stati, sostiene Amnesty International. «L’Uganda, lo stato più ospitale del continente africano con circa 1,4 milioni di rifugiati, a inizio pandemia ha chiuso le frontiere, col risultato che oltre 10 mila persone sono rimaste abbandonate al confine con la Repubblica Democratica del Congo».

Il rapporto 2020-2021 evidenzia un profondo aumento della violenza di genere e della violenza domestica a causa delle limitazioni di movimento. «Anche coloro che si sono trovati in prima linea di fronte alla pandemia – operatori sanitari e lavoratori del settore informale – hanno subito le conseguenze di sistemi sanitari deliberatamente smantellati e di ridicole misure di protezione sociale». In Bangladesh, a causa del lockdown e del coprifuoco, molti lavoratori sono rimasti senza reddito. In Nicaragua a giugno almeno 16 operatori sanitari sono stati licenziati dopo che avevano denunciato la mancanza dei dispositivi di protezione personale.

La pandemia come arma per attaccare ulteriormente i diritti umani

Il rapporto 2020-2021 presenta un quadro fosco dei fallimenti dei leader globali quando si è trattato di affrontare la pandemia. Alcuni governi hanno visto nell'emergenza sanitaria «la possibilità di rafforzare il loro potere. Invece di sostenere e proteggere le persone, hanno semplicemente usato la pandemia come un’arma per attaccare i diritti umani», accusa Callamard.

In Ungheria il governo del primo ministro Viktor Orbán ha modificato il codice penale introducendo pene fino a cinque anni di carcere per “diffusione di informazioni false” sulla pandemia. Nella zona del Golfo persico, Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Oman hanno usato la pandemia come pretesto per continuare a sopprimere il diritto alla libertà d’espressione, avviando procedimenti penali per “diffusione di notizie false” contro chi avevano criticato sui social la risposta sanitaria dei rispettivi governi. Nelle Filippine il presidente Rodrigo Duterte ha detto di aver ordinato alla polizia di uccidere chi protestava o chi causava “problemi” durante le misure di quarantena. In Nigeria la brutalità delle forze di sicurezza ha causato morti nel corso delle proteste. Nel Brasile del presidente Bolsonaro, tra gennaio e giugno le forze di polizia hanno ucciso almeno 3.181 persone, una media di 17 al giorno.

«Alcuni leader hanno fatto persino di più, usando l’elemento distraente della pandemia per stroncare critiche estranee al virus e commettere ulteriori violazioni dei diritti umani mentre il mondo guardava altrove». In India il primo ministro Narendra Modi ha inasprito la repressione contro gli attivisti della società civile, con la scusa della lotta al terrorismo. In Cina il governo di Xi Jinping ha proseguito a perseguitare gli Uiguri e le altre minoranze musulmane del Xinjiang. A Hong Kong ha fatto entrare in vigore una legge sulla sicurezza nazionale dai contenuti vaghi e generici per legittimare la repressione politica.

Particolarmente critica la situazione in Egitto, dove il caso di Patrick Zaki è la punta di un iceberg di detenzioni illegali; in Bielorussia nonostante la repressione violenta proseguono le proteste delle donne contro la contestata rielezione del presidente Lukashenko; negli Stati Uniti circa 1.000 persone di colore sono morte per i metodi dalla polizia; la Turchia significativamente è l'unico stato nella storia di Amnesty ad avere arrestato e condannato presidente e segretario locali dell'organizzazione per i diritti umani; del Myanmar dove i militari golpisti hanno uccisi 570 manifestanti.

L’interesse nazionale contro la cooperazione nella lotta alla pandemia ​

Sulla scena internazionale, i leader mondiali hanno ostacolato i tentativi di organizzare una ripartenza collettiva, bloccando o pregiudicando la cooperazione internazionale. «I leader degli stati ricchi, come l’ex presidente degli Usa Trump, hanno fatto scempio della cooperazione globale acquistando buona parte delle forniture mondiali di vaccini, lasciando poco o nulla agli altri. Questi stati hanno rinunciato a premere sulle aziende farmaceutiche affinché condividessero conoscenze e tecnologie al fine di aumentare la fornitura globale di vaccini».

Il governo cinese di Xi Jinping ha censurato e perseguitato gli operatori sanitari e i giornalisti che avevano cercato di lanciare un allarme tempestivo sul virus, sopprimendo così informazioni cruciali. Gli stati del G20 si sono offerti di sospendere il pagamento del debito da parte degli stati poveri ma hanno chiesto che questo venisse ripagato più avanti con gli interessi.

«L’unico modo per uscire da questo caos è la cooperazione internazionale. Gli stati devono assicurare che i vaccini siano rapidamente disponibili per tutti, ovunque e gratuitamente. Le aziende farmaceutiche devono condividere conoscenze e tecnologie affinché nessuno resti indietro». Amnesty International rilancia l'allarme di People's Vaccine Alliance, di cui sono membri anche Oxfam ed Emergency: senza una campagna di vaccinazione mondiale in tempi brevi, il Coronavirus libero di diffondersi e mutarsi nei paesi poveri che non hanno nemmeno cominciato a vaccinare, ritornerà nei paesi sviluppati con varianti più aggressive, rendendo inutili le campagne con vaccini di prima generazione. Ne sono convinti i due terzi dei 77 epidemiologi di 28 paesi sentiti dalla People's Vaccine Alliance. La soluzione è la sospensione temporanea della proprietà intellettuale dei vaccini, per garantire una produzione diffusa in tutto il mondo, bloccata da pochi colossi farmaceutici che di fatto stanno decidendo sulla vita e la morte di un numero enorme di persone. Ma Stati Uniti ed Europa, Italia compresa, si oppongono alla richiesta lanciata da India e Sudafrica e sostenuta da molti paesi, tra cui il Vaticano.

Ci sono anche segnali positivi. Molte persone si sono mobilitate per i diritti dei neri nel movimento Black Live Matters negli Usa, o delle proteste #EndSARS in Nigeria contro gli abusi delle Unità antirapina. Il Rapporto 2020-2021 descrive importanti vittorie degli attivisti per i diritti umani, come l’adozione di nuove leggi per contrastare la violenza contro le ragazze e le donne in Corea del Sud, Kuwait e Sudan.

«Siamo a un bivio. Possiamo allentare le catene che degradano la dignità umana. Possiamo ripartire da zero per costruire un mondo basato sull’uguaglianza, sui diritti umani e sull’umanità. Dobbiamo imparare dalla pandemia e unirci in un’azione coraggiosa e creativa affinché ognuno sia in una posizione di uguaglianza», conclude Callamard.




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