mercoledì 27 aprile 2011
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Ancora una volta Napolitano ci mette la faccia. E appoggia la decisione del governo Berlu­sconi di intensificare, con lanci mirati di missili, l’impegno militare dell’Italia in Libia. «Quanto annunciato dal pre­sidente del Consiglio è il naturale svi­luppo della scelta compiuta a metà marzo – dice il capo dello Stato nel­l’ambito dell’incontro con le associa­zioni partigiane, combattentistiche e d’arma –, non potevamo restare indif­ferenti alla sanguinaria reazione di Gheddafi». Un sigillo che si associa ad un duro richiamo alla comunità euro­pea sulla gestione dell’emergenza-im­migrati: «Nulla sarebbe più miope, me­schino e perdente del ripiegamento su se stessi dei paesi membri. Abbiamo un futuro solo se siamo uniti». Il capo dello Stato affronta la questio­ne libica - e in generale quella delle «ri­voluzioni o evoluzioni democratiche nel mondo arabo» - davanti ad una pla­tea difficile e significativa, gli ex com­battenti della Resistenza e delle forze armate, incontrata come da consuetu­dine nell’ambito delle celebrazioni per il 25 aprile. L’intenzione di Napolitano, chiara sin dal tono di voce, è quella di 'blindare' la linea dell’esecutivo. Ac­cenna alla risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu, rammenta che la guida delle operazioni è affidata alla Nato (fatto per cui l’Italia ha dovuto lottare dopo l’iniziale protagonismo franco­inglese), poi fa intendere di essere pie­namente informato e consenziente: la linea che si sta seguendo, spiega il Col­le, è quella «fissata nel Consiglio su­premo di difesa da me presieduto». In­fine, ultimo tassello, fa notare che sul­l’intervento libico c’è già stato «ampio consenso in Parlamento». Insomma, ci sono tutti gli ancoraggi internazionali e i passaggi istituzionali previsti dalla Carta. Napolitano li mette in fila nella speranza che il Paese proceda unito in politica estera. Prevedendo però le contestazioni del­la sinistra radicale e le perplessità di chi (Lega in primis) è contrario a un ina­sprimento delle operazioni militari, il presidente assicura che «i comandi e le Forze armate faranno la loro parte con la solita dedizione». Poi precisa: «Naturalmente le armi non bastano, la risposta di fondo al rischio di flussi mi­gratori disperati è un fattivo e forte im­pegno di cooperazione allo sviluppo». È questa, dice il presidente, la strada per essere «all’altezza delle nostre re­sponsabilità come mondo più svilup­pato e ricco». Non solo per un generi­co «senso di solidarietà», ma perché ne va «del nostro stesso interesse». Più ri­sorse, dunque, per aiutare a riscattarsi chi ora sta lottando per democrazia e diritti, in modo che le popolazioni non scelgano la strada (spesso di morte) del mare. Ed è un richiamo all’Europa per­ché «ci sia una svolta» nell’azione co­mune: agendo in modo «miope e me­schino », ognuno per sé e senza coor­dinamento, i paesi dell’Ue, in primo luogo l’Italia, «finirebbero per subire gravi contraccolpi». Nella cornice della Casa madre del mu­tilato, Napolitano, per dare forza al suo ragionamento, non esita a tracciare u­na linea di continuità tra il 25 aprile e le «istanze di libertà e giustizia in re­gioni a noi vicine», tra la Resistenza i­taliana e «i moti di ribellione contro re­gimi oppressivi e dittature personali, con il loro contorno di privilegi e cor­ruzione ». L’intervento internazionale ha allora un unico fine: che non sia «brutalmente soffocata» questa «cari­ca liberatoria». Vale per la Libia, ma va­le per tutte le aree di crisi in cui l’Italia, acquisendo «credibilità», manda mili­tari, mezzi e aiuti umanitari. D’altra parte, il capo dello Stato ha di fronte e­sponenti delle associazioni d’armi, ma il riferimento non è formale, visto che di tanto in tanto (ancora con la Lega capofila) si mettono in discussione le missioni internazionali che impegna­no il Paese. «Siamo lì per la sicurezza e la pace, contro le trame destabilizzan­ti del terrorismo, contro negazioni si­stematiche dei diritti umani». Tutto ciò fa parte di una visione «che rifiuta a­nacronistici approcci nazionali». Al bando, dunque, ogni tentazione (an­che interna all’esecutivo) di uscire dal quadro comunitario e sovranazionale. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
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