giovedì 8 maggio 2014
Augusta, centinaia di minori accolti e aiutati dalla comunità . Anche la parrocchia si occupa dei giovanissimi arrivati con i barconi. Come racconta don Angelo Saraceno (Caritas).
 La Casa dei migranti FOTOGALLERY
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«Il mare era agitato, nella barca c’erano 200 persone, man­giavamo biscotti e acqua. La gente gridava per la paura. Durante il viaggio ero agitato e molto triste, per­ché non so nuotare e la barca si muo­veva molto, avevo paura di cadere in acqua e annegare. La sete e la fame mi facevano stare sveglio, ero scoraggia­to e preoccupato». Ad appena 14 o 15 anni hanno attraversato da soli a pie­di il deserto e almeno quattro o cin­que Stati africani, hanno lavorato du­ramente in Libia per un tozzo di pa­ne, hanno subìto le torture della pri­gionia e l’angoscia di poter morire affogati nell’ultimo braccio di mare che li separa dalla libertà. Sono i mi­nori stranieri non accompagnati che arrivano a centinaia, ogni giorno, sul- le coste siciliane. Sono quelli che tro­vano ospitalità in strutture inadegua­te, caotiche e d’emergenza appronta­te da Comuni sull’orlo del dissesto fi­nanziario, come accade ad Augusta, ogni giorno, da mesi. Riacquistata la precaria serenità per essere soprav­vissuti, sono loro stessi a raccontare la loro storia ai mediatori, agli opera­tori o scrivendo quelle terribili avven­ture di proprio pugno, come ha fatto Memba, un giovane di 16 anni della Guinea Bissau.  In cinque mesi di permanenza in Si­cilia ha già imparato non solo a par­lare l’italiano, ma anche a scriverlo quasi correttamente, studiando dalla mattina alla sera. È il miracolo della casa della carità Talità Kum, accanto alla parrocchia Santa Lucia di Augu­sta, dove quattro giovanissimi africa­ni, due del Senegal e due della Guinea Bissau, sono stati accolti dal parroco don Angelo Saraceno e “adottati” dal­l’intera comunità, che si fa carico del vitto, del vestiario e della loro istru­zione. Loro sono giunti a ottobre coi barconi in balia del mare, prima che partisse l’operazione Mare nostrum. Il loro futuro non è in Germania o in Olanda, loro se lo stanno costruendo in questo lembo di Magna Grecia. «Si tratta di un progetto di accompa­gnamento di autogestione – spiega don Angelo Saraceno, che è anche re­sponsabile cittadino della Caritas e di­rettore dell’Ufficio regionale per i pro­blemi sociali e il lavoro della Confe­renza episcopale siciliana –. I ragazzi vivono in un gruppo appartamento, ci sono i tutor di Siracusa che li seguo­no sotto l’aspetto legale. Qui loro vi­vono, imparano a gestire la propria giornata, a cucinare. Li stiamo abi­tuando alle regole. Ma soprattutto stiamo puntando molto sull’istruzio­ne e l’avviamento al lavoro». Eduar­do, Kaba, Dembo e Memba non han­no un momento libero. La mattina ar­rivano Pina Briguglio e Serena La Fer­la, due insegnanti in pensione, per le lezioni individuali di italiano. Nel po­meriggio frequentano la scuola sera­le per conseguire la licenza media e la sera imparano un mestiere: due van­no a un corso per elettricisti e due per meccanico.  «Vogliamo trovare qui una nuova vita – racconta ancora Memba –. Abbia­mo lasciato la nostra famiglia, abbia­mo affrontato il viaggio nel deserto, lavorato come camerieri, muratori. Poi la traversata col barcone. In quel­lo in cui viaggiavo io eravamo 92 per­sone. Siamo rimasti in mare per tre giorni senza cibo, solo qualche gallet­ta di riso. Mi sento miracolato, lo so che sono fortunato. L’Europa dovreb­be fare qualcosa per risolvere la situa­zione ». Don Angelo conosce bene le loro storie, come quelle delle decine di somali, eritrei e siriani ospitati nel no­vembre scorso in un’altra struttura. «All’inizio i somali non volevano man­giare e non capivamo il perché – dice don Angelo –. Poi abbiamo scoperto che temevano di ingrassare, perché, sul barcone in cui avevano viaggiato, le persone più robuste erano state but­tate in acqua per alleggerire il carico». Adesso questa nuova forma di assi­stenza sembra portare buoni frutti, anche se riguarda solo numeri picco­lissimi. «Il nostro obiettivo è inserire questi ragazzi nel nostro tessuto ter­ritoriale e familiare» aggiunge don An­gelo, che durante il Giovedì santo ha distribuito, assieme agli altri parroci di Augusta, una lettera rivolta ai 'fra­telli africani o asiatici'. Si punta all’af­fido dei giovani a famiglie siciliane, co­me è accaduto per Abdullaj, un ra­gazzo somalo che adesso vive e studia ad Augusta. Ha lo sguardo sereno, vol­to in avanti. Sogna di fare il calciato­re, come i suoi idoli del Chelsea.
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