giovedì 19 maggio 2011
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Una crisi sempre più grave. Un vuoto che na­sconde paure e incertez­ze, ma anche una ten­denza culturale che non può lasciare indifferenti. Qualche anno fa Xavier Lacroix, uno dei massimi studiosi al mondo su ma­trimonio e famiglia, scrisse che una società indifferente al declino del matrimonio rischia di autocondannarsi a una confusione sociale sem­pre più ingestibile, se­gnata da un intreccio al­larmante di contraddizioni etiche ma anche di pesantissime derive educative. Una lettura condivisibile? «Perfettamente d’accordo», ri­sponde il vescovo di Parma, Enri­co Solmi, presidente della Commissione episcopale per la fami­glia e la vita. «Credo che dal punto di vista sociale e politico l’Italia non abbia ancora preso sul serio la cri­si della famiglia e della denatalità. Da noi, e purtroppo non da oggi, gli interventi di politica familiare, sono solo a livello cosmetico». Cosa è mancato?Sono interventi che non vanno al­la radice del modo di pensare. Si mettono a punto politiche familia­ri che sono soltanto iniziative elet­torali oppure un tentativo di ac­cattivarsi i favori dell’elettorato cat­tolico. Invece la politica dovrebbe lavorare per un cambio di menta­lità. E la Chiesa è riuscita ad incidere sul fronte del matrimonio e della famiglia? In parte sì. Dal Vaticano II ad oggi è stato fatto davvero tanto. In altre situazioni però l’annuncio è risul­tato sporadico. Spesso presentato in chiave difensiva o moralistica. E questo ha creato un diaframma. Anche noi dobbiamo fare mea cul­pa?Sì, forse la nostra accidia è respon­sabile della mancata diffusione di quella verità sul matrimonio e sul­la famiglia in tanti strati sociali e culturali, anche ai massimi livelli, di cui oggi avvertiamo tutta la gra­vità. Come recuperare il terreno per­duto?Raddoppiando sforzi ed energie. Non possiamo più attendere. L’im­pegno della Chiesa per mostrare il valore della persona e della fami­glia deve sempre più andare alla radice. Dev’essere annuncio pro­fetico, coraggioso, per ribadire che fare famiglia non solo è possibile, ma anche vantaggioso per tutta la società.Perché questo annuncio fa così fa­tica a passare?Perché la società è sempre più ra­refatta, le comunità sempre meno coese, avvertiamo un progressivo allentamento delle relazioni che rende tutto più difficile. Quali gli ambiti a cui dedicare l’im­pegno più rilevante? Penso alla preparazione al matri­monio. Forse i nostri percorsi sono inefficaci per quanto riguarda la te­nuta dei matrimonio, ma sono ef­ficacissimi per la possibilità che ci offrono di accostare i giovani che vogliono sposarsi e per parlare lo­ro. Ma anche qui dobbiamo ade­guare il linguaggio, le modalità, le proposte. Anche perché con i fidanzati ci so­no sempre più spesso coppie di conviventi, coppie con figli, cop­pie magari da tempo lontane dal­la Chiesa. Quindi sono occasioni magnifiche per riportare a tutti un’idea - spes­so una prima idea - della Chiesa e di Dio. In questa prospettiva è im­portante avere coppie preparate e accoglienti che sappiano accostar­si ad altre coppie e mostrare loro che far famiglia è bello, possibile, interessante. Non si tratta quindi di 'regolariz­zare' posizioni ma di accogliere e comprendere.Proprio così. Occorre accogliere le persone con la loro storia e per quello che sono. È un patrimonio dottrinale che la Chiesa possiede da sempre, ma che adesso deve tra­dursi in un atteggiamento condi­viso, anche dal punto di vista pa­storale. Anche qui le modalità pos­sono essere diverse. Occorre pen­sare a gruppi con persone che con­vivono e che non possono più spo­sarsi in chiesa. Ed altri invece con chi può guardare più liberamente al sacramento del matrimonio. So­no possibilità importanti anche sotto il profilo educativo. Queste coppie hanno figli che spesso fre­quentano il catechismo. Farsi pros­simo e incoraggiare più ampi per­corsi di carità verso queste coppie, vuol dire ricordare l’abc della rela­zione e cambiare il modo di pen­sare. Forse il più grande regalo che possiamo fare alla società.
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