sabato 30 dicembre 2023
Attesa per il discorso di fine anno. Sarà rivolto agli italiani senza aprire conflitti col governo. Fra i temi attesi la violenza sulle donne, i cambiamenti climatici e l'intelligenza artificiale
 Mes e riforme fuori dal messaggio di Mattarella, al centro pace e lavoro
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Per Sergio Mattarella questo messaggio di fine anno, il suo nono, coincide con la curva più delicata del suo pluri-mandato, che vede il ruolo stesso della massima istituzione della Repubblica messo in discussione dal progetto di riforma che intende introdurre l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Lo scorso anno, di questi tempi, Mattarella si trovò a prendere atto con soddisfazione del mezzo miracolo realizzato nel condurre in porto nei tempi la legge di Bilancio, dopo un inedito voto anticipato a fine settembre. Per conseguire quell’obiettivo il Quirinale di fatto rinunciò a una delle sue prerogative, il concorso nella nomina dei ministri, accettando per accorciare i tempi che il presidente incaricato, designato di fatto dall’esito delle urne, avesse con sé l’intera lista già all’atto della convocazione al Colle, che si è limitato a ratificarla.

La sincerità un po’ grezza di Ignazio La Russa, che da presidente del Senato detiene fra l’altro le funzioni “vicarie” del capo dello Stato, ha evidenziato come negli obiettivi della riforma ci sia, in pratica, quello di ridimensionare in maniera strutturale - e non episodica, a seguito di un chiaro esito del voto, come nel caso attuale – le prerogative del Quirinale, che si è trovato più volte a fungere da “motore di riserva” in questi ultimi decenni, quando il Parlamento ha stentato a indicare una maggioranza chiara. Nasce con questo obiettivo la previsione più controversa, quella di attribuire al premier eletto una “dotazione” parlamentare automatica del 55%, a prescindere dai consensi realmente ottenuti. Il presidente della repubblica si troverebbe così ad agire da notaio, e non più da arbitro, indebolito di fatto anche nell’esercizio delle importanti prerogative formalmente conservate, dalla promulgazione delle leggi alla presidenza del Csm e del Consiglio supremo di difesa.

Al di là della “leale collaborazione” e dei buoni rapporti personali con Giorgia Meloni, i segni di un certo raffreddamento fra Palazzo Chigi e il Colle si sono colti in queste ultime settimane. A parte la legge di Bilancio che ha completamente esautorato le Camere, sulla quale la ragion di Stato fa premio su ogni altra valutazione, pesa la mancata approvazione del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, che vede l’Italia unica nazione in Europa a non sottoscrivere un accordo già da tempo ratificato da tutti gli altri membri.

Ai tempi del “governo del cambiamento” nato sull’asse euroscettico Lega-M5s eravamo abituati su temi come questi a veder prevalere alla fine la moral suasion presidenziale in ragione del rispetto dei Trattati, che dovrebbe prevalere sui mutevoli equilibri politico-parlamentari, e del ruolo di Paese fondatore dell’Unione che l’Italia riveste. Si è parlato in questi giorni, invece, di una sorta di “solitudine” di Mattarella, e certo non ha giovato a smentire questa descrizione la circostanza che alla cerimonia degli auguri alle alte cariche fossero assenti le tre figure di vertice del governo (con la sola Meloni giustificata per ragioni di salute). Nel discorso di Mattarella in quella sede si è colta tutta l’amarezza per una consapevolezza ancora insufficiente sul cambiamento climatico, mentre nessun riferimento c‘è stato al Mes e men che meno al progetto di riforma. Ma resterebbe deluso chi si aspettasse che i due temi “caldi” possano essere inseriti nel menù del messaggio di fine anno. Non può dire “troppo”, travalicando il compito di arbitro di cui si sente intestato, non ci può aspettare da Mattarella, come un novello “picconatore”, che prenda parte a questioni affidate legittimamente alla dialettica politica in Parlamento. Ma non può nemmeno dire “troppo poco”, come per non disturbare il “manovratore” che punta a ridimensionare il ruolo del Quirinale. E c’è un tema che è stato al centro del discorso alle alte cariche, in relazione all’uso dell’intelligenza artificiale, che potrebbe esser ripreso nel messaggio agli italiani. Mattarella ha di fatto ammonito sui rischi connessi - non solo in Italia, ma anche in Italia – al culto in voga dell’uomo forte, per la possibilità concessa ai moderni autocrati, a differenza dei dittatori del Novecento, di poter far uso di questo strumento potenzialmente in grado di modificare la realtà e di condizionare la coscienza collettiva, dando luogo a un dibattito politico virtuale facilmente manipolabile a scapito di quello istituzionale che, specie in una democrazia Parlamentare come la nostra, non può che avvenire in Parlamento.

A giudicare dai sondaggi sul “sentiment” collettivo verso il capo dello Stato, Mattarella, amarezze a parte, non può sentirsi solo. E non entrerà certo in polemica con il governo, al quale non ha mai fatto mancare il suo sostegno, come di recente sui temi dei migranti nella Ue. Ma più che al governo o ai partiti, il suo sarà, prevedibilmente, un discorso agli italiani, con un’attenzione particolare ai giovani, alle donne e ai ceti in maggiore difficoltà, e ai temi che toccano più da vicino la gente comune, dal diritto a un lavoro dignitoso alla violenza di genere, con un'attenzione particolare – nella ricorrenza dei 75 anni di una Costituzione che ripudia la guerra – al tema della pace. Per indicare l’esigenza di fare di più, come Italia e come Europa, nei fronti caldi di Ucraina e Medio Oriente, che rendono più cupo e meno incline alla speranza l’avvento del nuovo anno.

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