sabato 20 aprile 2013
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Lo spettro di 48 ore di buio. Di stallo totale. Di incertezza. Il Pd non c’è. Ciò che decide viene bruciato dai franchi tiratori. Gli altri non hanno i numeri per eleggere il capo dello Stato. E mentre M5S procede dritto su Stefano Rodotà, puntando ormai all’appoggio strutturale di 46 vendoliani e una cinquantina di democrat, Berlusconi e Monti si mobilitano per surrogare il vuoto lasciato da Bersani.Il punto di partenza è Annamaria Cancellieri. Gli azzurri ci stanno, sono disposti a farla lievitare, ma temono di bruciarla se oggi già si azzardasse il faccia a faccia brutale con Rodotà. Si procede in punta di piedi. Forse il Pdl torna in Aula dopo l’Aventino di ieri solo per votare scheda bianca e riprendere il filo della trattativa con i democrat. Ripartendo daccapo, da Giuliano Amato, il più accorto nel non farsi travolgere dal tritacarne Pd. Dal ministro dell’Interno. Paradossalmente anche da Franco Marini, che alla prima chiama aveva preso 521 voti, 17 in più della maggioranza assoluta. E da Massimo D’Alema.Già, l’ex premier e ministro degli Esteri viene considerato l’unico in grado di tenere in piedi quel pezzo a quanto pare ancora maggioritario di partito che vuole le larghe intese ed è in grado di evitare la corsa verso il voto. Berlusconi e Monti lo voterebbero, ma per il Pd potrebbe essere la mazzata finale, il colpo mortale in giorni in cui a dettare la linea, spiega un senatore, «è twitter non il senso delle istituzioni». Baffino al Colle però potrebbe essere la causa di una nuova, terrificante frattura interna. Perciò anche il Pd potrebbe virare, per oggi e domani, verso la scheda bianca, per evitare di consumare nomi su nomi.Il puzzle non si compone in nessun modo. I lettiani chiudono il telefono. È come se ritenessero esaurito il loro compito di trattativisti a oltranza. Leggono le dichiarazioni di Vendola che vira di nuovo verso Rodotà e allargano le braccia. «Qualche pazzo ci pensa», ammettono. Ma è un gioco senza schemi.

Lassù, sul Colle più alto, Napolitano viene interpellato da Berlusconi, Monti e Bersani. Ma non ha le risposte che la politica non sa dare. Predica calma, dialogo e responsabilità. «Non si può sottoporre la più alta carica dello Stato ai venti del populismo e degli interessi personali, è pura irresponsabilità», si sfoga con i collaboratori commentando quello che sta diventando un addio amarissimo al Quirinale.Tutti cercano la soluzione ma non la trovano. Salvo una, sempre la stessa da due mesi. «Napolitano resti un anno, il tempo di fare la riforma semipresidenziale e far eleggere il capo dello Stato dai cittadini», è il tema di un capannello di parlamentari bipartisan. Ma poi si guardano in faccia, e capiscono che chi non riesce a trovare un nome per la più alta carica istituzionale non può pretendere troppo da se stesso.Eppure l’ipotesi-Napolitano resta. Necessariamente. Specie se i giorni di stallo diverranno tre, quattro, cinque... A meno che il Pd non trovi il coraggio di dirsi che cosa non va, di fissare la data del congresso o consumare le scissioni in seno e "liberare" il Parlamento. Se i democrat riuscissero a far uscire il dèmone, o almeno a portarlo lontano da Montecitorio, potrebbero ormai contare sulla "non belligeranza" di Pdl e Scelta civica per un proprio esponente non ostile. D’Alema, ancora una volta. O Pietro Grasso, lungo l’asse di una soluzione istituzionale pilotata da Napolitano.

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