sabato 14 agosto 2021
Un ex agente racconta ad Avvenire la storia del reparto super segreto del Sismi
Dal caso Moro a Ilaria Alpi i segreti degli "Ossi"
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Si siede al tavolino e ordina un caffè, come un pensionato qualsiasi. Scruta le montagne e premette: «Spero di poter essere utile, anche se posso parlare solo di cose che conosco direttamente». Niente chiacchiere da bar, insomma. Non è nel suo dna di militare. L’uomo che ha accettato di parlare con 'Avvenire' (e che chiede di tenere riservata la sua identità per motivi di sicurezza) è un ex sottufficiale del Comsubin, le forze speciali della Marina, nonché ex operativo del Sismi, il vecchio servizio di sicurezza militare. Un agente segreto. Molto segreto. «Sì, facevo parte degli Operatori speciali dei servizi di informazione. Gli Ossi».

Un nome che spalanca pagine di letteratura, in bilico tra inchiesta giornalistica e fiction. «Eravamo inquadrati nella VII divisione, quella che gestiva Gladio. Sezione K? Macché, mai esistita. Una leggenda. C’eravamo noi, un gruppo ristretto di incursori in abito civile: all’estero non puoi impiegare militari in uniforme per certe missioni...». Se le cose si mettono male, è più facile lavarsene le mani. «Gli Ossi si muovevano nell’ombra, consapevoli di tutti i rischi sia sul piano dell’incolumità personale che delle conseguenze in caso di cattura. Quando vennero a propormi l’incarico risposi solo: non mettetemi dietro una scrivania. E così è stato: Albania, Rwanda, Somalia, Bosnia, Iraq, Afghanistan. Non mi sono mai annoiato».

L’ex agente svela ruoli e scenari. Niente luoghi, nomi o date, però. Quelle missioni sono ancora coperte dal segreto di Stato. «Potevamo fare da scorta alle personalità, ma anche essere paracadutati in territorio ostile. Eravamo a conoscenza delle tecniche di antiterrorismo e in grado di effettuare interventi per la liberazione di connazionali ostaggi, o di dare un supporto informativo tramite ricognizioni occulte a favore di reparti speciali che avrebbero potuto essere impiegati. Ci addestravamo in vari luoghi, tra cui Capo Marrargiu, in Sardegna. Azioni armate? Ma no, quali armi...» dice sorridendo. Per lui tutto iniziò al Varignano, La Spezia, base del Comsubin. «Con le Br pensavamo che avremmo avuto vita facile, perché non li ritenevamo capaci di azioni complesse. L’agguato di via Fani invece ci stupì, perché fu compiuto con modalità militari».

Durante la prigionia di Aldo Moro, il Comsubin fu posto in stato di massima allerta. «Passammo 33 giorni nella base, senza mai uscirne. Pronti a partire in qualsiasi momento». Il 21 marzo 1978 il gruppo fu avvisato: ostaggio individuato vicino a Roma, possibile intervento. Poi la missione fu annullata all’improvviso. «Non salimmo mai sugli elicotteri. Eravamo pronti, comunque. Ci eravamo addestrati apposta con quelli del Sas, le teste di cuoio inglesi». Gli Ossi sono esistiti fino al ’93, quando «la VII divisione – ricorda l’ex 007 – è stata smantellata. A quel punto confluimmo nella II divisione, quella incaricata delle ricerche».

Non proprio un lavoro da topi d’archivio, però. «Eravamo al fianco delle nostre missioni di pace all’estero. Cercavamo informazioni per proteggere i nostri contingenti, mescolandoci alla gente del posto. Una volta mi finsi trasportatore di frutta per infiltrarmi in una zona pericolosa». In Somalia la missione più difficile. «Provammo anche a seguire il traffico d’armi, ma senza grossi risultati. C’era un grande caos. Ilaria Alpi? Mai conosciuta né vista. Quando fu uccisa ero già andato via. Ma di una cosa sono abbastanza sicuro: fu un agguato, non una rapina».

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