giovedì 11 marzo 2021
È necessario sostenere la famiglia e, specialmente, che si impedisca la patologizzazione dell’infanzia
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Un papà e una mamma ricevono una diagnosi terribile: sindrome da alterazione globale dello sviluppo con particolare compromissione della comunicazione, ovvero disturbo dello spettro autistico. Una diagnosi che porta lui, preoccupato per il futuro del suo piccolo, alla scelta estrema dell’omicidio- suicidio, mentre la moglie si trova al lavoro. Il drammatico episodio accende i riflettori sulla percezione dei bambini in questo momento storico e che ho cercato di descrivere nel mio ultimo libro 'I bambini sono sempre gli ultimi'.

Una percezione veicolata da una profonda incomprensione del loro mondo, della loro immaturità e della loro naturale differenza. Gli adulti faticano a capire la vita infantile.

Il fenomeno degli eccessi di neurodiagnosi e di certificazione scolastica di disabilità che, negli ultimi dieci anni, sì è letteralmente abbattuto su di loro e sui ragazzi italiani, non lascia molti margini di interpretazione statistica. È un dato secco e inequivocabile. Nel report Istat relativo all’anno scolastico 2010-11, gli alunni disabili – secondo i criteri della legge 104 – erano 139 mila. Nove anni dopo, cioè nell’anno scolastico 2019-20, il dato è più che raddoppiato: 300 mila certificazioni di disabilità.

La stragrande maggioranza – l’80% circa – di queste certificazioni riguarda non più, come succedeva fino agli anni Novanta, disabilità fisiologiche, motorie e genetiche, ma quelle legate a deficit emotivi e comportamentali. In particolare, è cresciuta a dismisura la diagnosi di spettro autistico, come nel caso di Treviso.

Una valutazione che lo stesso Michele Zappella, decano dei neuropsichiatri italiani e fra i primi in Italia a studiare proprio l’autismo, ha definito una sorta di etichetta senza, il più delle volte, una precisa spiegazione diagnostica e che pertanto finisce con presentare una percentuale di cosiddetti falsi positivi elevatissima (40-50%, se non di più). Zappella, nel suo prossimo libro, ricorda come l’80% dei genitori che riceve questa diagnosi, o un suo sentore, con la parola autismo, cade in una depressione che può ancora essere presente a distanza di un anno, un anno e mezzo.

Spesso, e del tutto incautamente, questa neurodiagnosi viene accompagnata da commenti come «Da questa malattia non si guarisce mai», «Ve lo dovete tenere così com’è», e simili.

L’angoscia aumenta e va ad alimentare la grande fragilità genitoriale di quest’ultima generazione. Penso che il calo demografico non dipenda da motivi sociologici, quanto dalle tante problematiche educative. Ai genitori non si offrono sponde se non queste drammatiche diagnosi neuropsichiatriche gestite, il più delle volte, senza alcun riguardo verso i genitori e tantomeno privacy verso i bambini. Da ultimo, compare il fantasma degli screening precoci tra i 2 e i 6 anni.

Centri specializzati, senza alcuna cornice normativa, entrano nelle scuole, col consenso di dirigenti e di insegnanti mal consigliati, per cercare disturbi dell’apprendimento, dello spettro autistico e dell’iperattività. Fra i genitori si sta creando il panico. Anche nei miei studi continuo a ricevere madri e padri letteralmente terrorizzati. Già nel 2017 denunciai, sia col convegno nazionale 'Curare con l’educazione', che con il mio libro 'Non è colpa dei bambini', la deriva verso cui si stava andando nell’indifferenza istituzionale.

Occorre che i genitori non vengano abbandonati a se stessi e, specialmente, che si impedisca la patologizzazione dell’infanzia, il crescere di un’epidemia che non corrisponde a veri dati scientifici. L’appello è perché il nuovo Governo, o comunque alle istituzioni scolastiche, sanitarie e politiche, perché smettano di chiudere un occhio - se non entrambi - su queste distorsioni del mondo infantile e genitoriale, e diano indicazioni precise, chiare e limitative sull’uso delle neurodiagnosi e delle certificazioni scolastiche di disabilità.

Occorre rispettare la crescita e l’età dei più piccoli con la consapevolezza che la plasticità neurocerebrale, il più delle volte, sa ricuperare sui momenti di inceppamento evolutivo. Bisogna cambiare pagina e offrire alle famiglie un supporto pedagogico per educare e crescere le nuove generazioni. I genitori meritano fiducia, non angosce. Nel mio ultimo libro, ho proposto un 'bonus pedagogico' per l’aiuto nella crescita educativa dei figli. Sarebbe bellissimo, ad esempio, che, all’uscita dai reparti di maternità, le mamme e i papà potessero avere non solo ciucci, pannolini e latti artificiali, ma anche un 'libretto di istruzioni' per seguire le tappe educative dei loro piccoli. È meglio porre attenzione ai bisogni delle nuove generazioni piuttosto che certificarne la disabilità.

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