giovedì 21 aprile 2011
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Il cinema ha la vista lunga. Racconta, e raccontando pone problemi e suggerisce soluzioni. Ma soprattutto crea immagini e agisce nell’immaginario, personale e collettivo. Nulla di quanto conta sfugge alla narrazione cinematografica. Nulla, tanto meno la bioetica. Film sulla nascita e la morte, sull’aborto e le neuroscienze, sulla disabilità e il postumano. Paola Dalla Torre propone 15 film, analizzati e commentati da 16 firme d’alta qualità (lei compresa) – filosofi e storici, giuristi e sociologi – nel volume Cinema contemporaneo e questione bioetica (Edizioni Studium, 232 pagine, 14,50 euro). «Una sequenza ininterrotta di immagini e storie – scrive Paola Dalla Torre, ricercatrice in Storia e critica del cinema alla Lumsa di Roma – che vogliono dare un quadro il più possibile esauriente, perché attraverso il cinema si possa offrire una sorta di compendio comprensibile e accattivante sulle questioni fondamentali della bioetica e sulle parole chiave di questa scienza che è ormai diventata il cardine della riflessione tecnico-etico-filosofica della nostra contemporaneità».La scelta dei film, quasi tutti degli ultimi 20 anni, è una miscela tra pellicole notissime e straviste, accanto ad altre appannaggio di pochi appassionati. In generale il cinema mette in guarda dagli eccessi della tecnologia e dall’idolatria della scienza, e si tratta di film spesso cupi, problematici e pessimisti, spesso riecheggianti i romanzi visionari e paranoici di Philip K. Dick; raramente sono inni all’eutanasia, opere decisamente di propaganda e dai connotati ideologici come Mare dentro (presente nel volume) o Le invasioni barbariche (assente). I primi risultano, alla fine, più rispettosi della sensibilità e dell’intelligenza dello spettatore critico, perfino dubbioso. I secondi, in genere, convincono chi è già convinto. Senza far torto agli esclusi, abbiamo scelto cinque film, dei quali proponiamo alcuni brani.Quattro mesi, tre settimane e due giorni (Lucetta Scaraffia). «Questa è la prima volta che, in un film, l’aborto viene rappresentato in modo così crudo e diretto: di solito il dramma viene narrato dal punto di vista della donna che sceglie, della donna che soffre. La protagonista è sempre la possibile madre, come se l’aborto fosse solo un problema della donna, così come sempre l’hanno descritto le femministe, e in genere i militanti della legalizzazione. In questo film, invece, è un regista di sesso maschile che ne parla ponendosi dal punto di vista del feto e di chi è complice/autore dell’aborto; la ragazza che abortisce è solo un personaggio fra gli altri (...). Si tratta di una denuncia priva di retorica della libertà di abortire – nessuno inneggia alla sacralità della vita o accusa di amoralità e mancanza di sentimento la giovane madre –, che non fa ricorso all’ideologia, ma semplicemente si fonda sulla dura realtà di un piccolo corpo umano non ancora nato».Gattaca (Laura Palazzani). Gattaca affronta la problematica della selezione genetica (...). Rappresenta il sogno tecnologico dell’uomo perfetto nella società perfetta, l’ambizione dell’uomo che pretende di sostituirsi a Dio (...). Tutto ciò che è rappresentato cinematograficamente è possibile scientificamente e tecnologicamente: non è fanta-scienza, bensì scienza-reale (...). Attuare la selezione genetica in modo programmato significa, sistematicamente, eliminare gli imperfetti e far nascere solo i perfetti, o meglio i destinati alla perfezione (...). Il problema è che la società dei perfetti (...) è una società fredda, anonima, asettica, spersonalizzata, omologata e omologante, disumana e disumanizzante: tutti coloro che entrano a Gattaca hanno la stessa espressione di indifferenza, gli stessi abiti, lo stesso modo di camminare (...). Il messaggio che emerge con molta chiarezza dal film è la pericolosità della logica eugenetica come minaccia alla dignità umana e alla giustizia sociale».Mare dentro (Giuseppe Dalla Torre). «Ramón, dopo anni di vita inchiodata in un letto, senza poter fare nessun movimento se non quello della testa e degli occhi, ha ormai maturato il desiderio di farla finita (...). Vuole morire, ma non può suicidarsi, per la paralisi che gli impedisce qualsivoglia azione. Ha bisogno dunque di qualcuno che lo aiuti a morire, ma non trova persone disposte, anche perché giuridicamente se l’eutanasia è un reato, anche l’aiuto al suicidio, o l’omicidio del consenziente, risulta penalmente interdetto. D’altra parte la Chiesa, questa presenza ossessionante per una parte degli spagnoli, sembra incombere col suo implacabile richiamo alla legge morale: significativo al riguardo è il dialogo a distanza tra Ramón e il gesuita Francisco in carrozzella, nel quale traspare la forzatura anticlericale in una certa ridicolizzazione delle argomentazioni del religioso (...). Il film di Alejandro Amenábar, certamente ben fatto ed emotivamente accattivante, che scava nell’interiorità del protagonista, nell’ambiente familiare e nel paesaggio costiero della Galizia, tocca una questione nodale, che è quella dell’eutanasia, sia pure sotto il peculiare profilo del suicidio assistito. E la affronta con una chiara presa di posizione, nel senso di rivendicare il diritto di morire e sollecitando, con la capacità suadente dell’arte cinematografica, sentimenti adesivi dello spettatore. Da questo punto di vista il film non è "neutrale", ma chiaramente di parte».Blade Runner (Paola Dalla Torre). «Fantascienza etica, o ancor meglio bioetica, che enuclea alcuni grandi interrogativi e ci fa riflettere sulla necessità di una definizione di limiti e paletti a cui attenersi (...). Basta guardare l’incipit di Blade Runner per comprendere come questa pellicola, così come le successive dello stesso genere, abbia adottato uno sguardo catastrofista o per lo meno molto scettico e preoccupato nei confronti dello sviluppo delle tecnologie e delle sue applicazioni sul corpo umano e sulla natura (...). Il tema fondamentale della pellicola di Ridley Scott riguarda le implicazioni etiche, sociali, culturali nella creazione dei replicanti, il rapporto tra questi e gli umani, la ridefinizione dell’identità umana sulla base del riconoscimento di un nuovo tipo di essere vivente a cui si è potuto dare esistenza tramite la tecnica. Come osserva acutamente Paolo Cattorini, "questo è il primo dei temi di Blade Runner: come distinguere persone umane da macchine antropomorfe? Più radicalmente, chi merita di dirsi propriamente umano?" (...). La visione di Scott sembra sposare la prospettiva dei biocatastrofisti che prevedono la distruzione del genere umano se si segue, senza regole, lo sviluppo delle biotecnologie (...). Il corpo umano non può essere equiparato ad una macchina e i replicanti di Blade Runner ci mostrano proprio questo, nella loro lotta contro un’umanità che ha perso di vista i suoi valori etico-morali fondamentali».A.I. Artificial Intelligence (Paola Dalla Torre). «Per roboetica si intende un’etica della progettazione e dell’impiego dei robot, il cui scopo sia l’analisi degli aspetti etici, sociali, umanitari ed ecologici della robotica (...). Una favola dei nostri tempi (...). A proposito del desiderio di essere un bambino vero da parte di David, Paolo Cattorini scrive che il film ricorda due importanti temi, oltre quello dell’intelligenza artificiale: la questione bioetica dell’embrione e quella etica della generazione. Riguardo alla prima, infatti, il film ci fa metaforicamente porre domande del tipo: chi è bambino in potenza, ma non ancora vivo in atto, va già rispettato come bambino? Gli va data la chance per diventarlo, se lo chiede? (...). Il film di Spielberg è stratificato e va a toccare tante questioni che ci assalgono nella contemporaneità, tentando di farci riflettere. Non a caso vengono affrontati dal film anche il tema della malattia mortale e la relativa tematica della difficoltà dell’uomo contemporaneo nell’accettare i propri limiti, accompagnata dalla voglia di abbatterli tramite la scienza e la tecnologia (...). Anche in un mondo che va verso il postantropocentrismo, popolato da Intelligenze Artificiali sempre più sofisticate, quello che deve rimanere presente e al centro di tutto è l’uomo con la sua dimensione spirituale, quella che infonde il senso alle cose e che permette la loro sopravvivenza».
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