mercoledì 19 gennaio 2022
A Cerignola la cooperativa "Pietra di scarto", nata grazie al progetto Policoro, dà lavoro alle persone sfruttate. Negli spazi dove comandava la mafia locale
I figli di Francesco Marcone davanti al murale

I figli di Francesco Marcone davanti al murale

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Qui la mafia ha perso! La scritta corre lungo il tetto del grande cubo di cemento, luogo di traffici illegali diventato luogo di riscatto. Soprannominato 'il bunker' perché senza finestre: non servivano perché qui si modificavano le auto per trasportare la droga. Ora le finestre ci sono ed entra la luce della libertà. Siamo nelle campagne di Cerignola e qui si realizza il sogno della cooperativa 'Pietra di scarto' nata nel 1996 come 'gesto concreto' del progetto Policoro della Cei per l’imprenditoria giovanile al Sud. Venticinque anni spesi bene. La cooperativa dal 2010 gestisce l’edificio e tre ettari confiscati ai clan cerignolani. Ulivi, cultivar 'Bella di Cerignola', la famosa oliva grande e dolce, e pomodoro. Grazie a un finanziamento di Fondazione con il Sud, è stato realizzato un laboratorio per la lavorazione del pomodoro.

È intitolato a Francesco Marcone, il direttore dell’Ufficio del registro ucciso a Foggia nel 1995, il cui viso malinconico e sorridente spicca su una delle alte pareti del 'bunker'. Nel laboratorio lavorano quattro immigrati, tra i quali tre donne, vittime di sfruttamento. Si producono 70mila pezzi, tra i quali 40mila di passata 'Pomovero', altro nome che racconta questa bella storia. 'Ciascuno cresce solo se sognato', frase di Danilo Dolci, è lo slogan della cooperativa. Sogno che si sta realizzando. Per aumentare i volumi di produzione è stata creata una rete di agricoltori locali 'sensibilizzati', ai quali viene offerto un prezzo equo per il pomodoro.

«Facciamo noi i 'caporali', ma della legalità», spiegano i soci della 'Pietra di scarto'. E infatti la raccolta viene svolta dai braccianti della cooperativa, 3 immigrati e 4 cerignolani, detenuti in esecuzione esterna della pena. Davvero le pietre di scarto diventate testata d’angolo. «È un’esperienza plurale, è il noi che vince – spiega il presidente, Pietro Fragasso –. Sognare gli altri come ancora non sono, dando loro opportunità, per ridare speranza ai marginali, per rendere i banditi dei protagonisti». E, infatti, la bella scatola regalo che contiene i prodotti della cooperativa si chiama 'Il Pacco dei Banditi'. «'Cerignola: terra di banditi!' è una delle frasi che ascoltiamo quando si parla della nostra terra – spiega ancora Pietro –. Partendo da questo luogo comune, raccontiamo con il nostro lavoro una realtà diversa: speranza e coraggio. Il pacco contiene prodotti realizzati dai nostri 'banditi': persone messe al bando, ai margini della società a causa del pregiudizio o sfruttati da un sistema economico e sociale che schiaccia il più debole».

Ne è convinto il vescovo di Cerignola- Ascoli Satriano, monsignor Luigi Renna, presidente della Commissione per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Cei. «È la rivoluzione della tenerezza. Un luogo dove saper avere misericordia. Un connubio tra legalità e Cerignola che ha bonificato questo territorio. Perché Cerignola ha tante risorse. Oggi ci sono le istituzioni ma non ci sono sempre state». Un evidente riferimento allo scioglimento per mafia.

E il nuovo sindaco Francesco Bonito, ex magistrato, non nasconde i rischi. «La mafia è viva. Oggi è diversa, è molto più pericolosa e quello che abbiamo vissuto a Cerignola è un esempio. Ma Cerignola non è un’isola dannata. Però non basta la risposta giudiziaria. La cooperativa è la risposta più importante, è l’antimafia sociale».

È il sogno di Paolo e Daniela, figli di Francesco Marcone. «Venticinque anni fa era un sogno, oggi è una realtà, frutto del vostro impegno, ci avete messo la faccia, dicendo 'no' alla mafia – sono le parole di Paolo –. Papà oggi sorride da quel murales e sorridiamo io e Daniela. Lui diceva 'lo Stato siamo noi', ognuno deve spendersi per questo Stato, non si può sempre delegare». Ma, avverte Daniela, «abbiamo tutti il dovere di ricordare quelle persone che hanno avuto il coraggio di dire 'no' perché amavano la loro terra. La loro storia è importante, è il nostro patrimonio memoriale. Non è solo un dovere, ma memoria viva». È il messaggio che lancia anche don Luigi Ciotti. «Questa è una terra ferita. Per anni questa mafia non è stata considerata ed è stato vergognoso. Abbiamo attraversato momenti di buio, ma ora c’è una luce. I beni confiscati sono il grande schiaffo a chi ha scelto il male. E sono anche una bonifica culturale e sociale. Siate orgogliosi di essere di questa terra, perché qui ci sono tante cose belle. Loro sono forti ma noi siamo di più».

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