sabato 7 dicembre 2019
Una pagina nuova nell’affrontare la ferita degli abusi sui minori: il presidente del Servizio nazionale attivato dalla Cei spiega cosa si sta facendo, al centro e nelle diocesi
Una riunione del Servizio Cei

Una riunione del Servizio Cei - Cei

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«Su abusi e minori la Chiesa italiana, in modo compatto e convinto, ha voltato pagina. E ora stiamo facendo davvero tutto il possibile per contrastare un fenomeno odioso e intollerabile. Ci sono già alcuni episodi concreti di collaborazione tra diocesi e autorità giudiziaria». Non ci sta l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio nazionale tutela minori della Cei, ad accettare semplificazioni e approssimazioni come quelle pubblicate nei giorni scorsi nell’inchiesta dal Fatto Quotidiano dove, al di là di episodi pur reali ma presentati in modo scandalistico e suggestivo, vengono riportati dati senza fondamento. Anche perché derivanti da un’unica fonte che non può disporre di statistiche di cui né la stessa Chiesa né l’autorità giudiziaria sono in possesso.

Ma l’aspetto più sgradevole è il silenzio assoluto su quello che la Chiesa italiana ha messo in campo per affrontare e, per quanto possibile, sradicare il problema da comunità, parrocchie, seminari, oratori. «Quando nell’assemblea generale dei vescovi in maggio abbiamo votato la nuove linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, abbiamo ottenuto un risultato a larghissima maggioranza, come non avviene frequentemente. Segno che la volontà di opporsi agli abusi è davvero condivisa e che l’episcopato italiano vuole andare avanti, insieme, senza incertezze, con tutti gli strumenti a disposizione».

I fondamenti dell’impegno della Chiesa italiana
Come funziona e come è strutturata quindi la macchina anti-abusi avviata dalla Chiesa italiana? Innanzi tutto cambia completamente, anzi è rovesciato, il principio di fondo. Mentre le linee guida del 2014 avevano soprattutto carattere giuridico, con l’obiettivo di individuare le strategie più opportune per perseguire i responsabili di abusi, quelle votate a maggio assumono in modo esplicito e convinto lo sguardo del minore. «Ci schieriamo a tutela dei piccoli e delle persone vulnerabili e non in difesa dei nostri preti e delle nostre istituzioni. Non è un cambio di prospettiva da poco», osserva ancora Ghizzoni. Non c’è solo la volontà di accogliere, ascoltare e accompagnare chi decide di fare una segnalazione, una denuncia o soltanto chiedere informazioni, ma c’è soprattutto l’impegno morale di denunciare. «Quando i fatti di cui i vescovi o i loro incaricati vengono a conoscenza appaiono credibili e circostanziati – riprende l’arcivescovo di Ravenna-Cervia – c’è l’obbligo morale dell’esposto all’autorità giudiziaria oppure di dare sostegno alla persona danneggiata che intende fare denuncia. E anche questo è un fatto notevolissimo». Non si tratta solo di un caso ipotetico. Dopo la pubblicazione delle Linee guida ci sono già stati alcuni episodi di positiva collaborazione tra vescovi e autorità giudiziaria con il rinvio a giudizio dei presunti colpevoli.

Una rete diffusa a livello regionale e diocesano
Si sta completando la rete delle strutture e dei servizi operativi previsti dalle Linee guida del 2019. La struttura regionale, con un vescovo responsabile per ogni conferenza episcopale regionale e uno o più collaboratori regionali, è ormai completata. Ci sono già stati alcuni incontri in cui è stato varato un programma di interventi e un piano di formazione. Al vescovo responsabile a livello regionale fanno capo i referenti diocesani per il "Servizio tutela". A tutt’oggi sono cento – su un totale di 226 – le diocesi che hanno scelto e nominato questi responsabili.

Le regioni ecclesiastiche più virtuose sono l’Emilia Romagna, il Triveneto, la Toscana, la Campania e la Sicilia. Il loro ruolo è importantissimo perché, nella propria diocesi o nei gruppi di diocesi che hanno deciso di consorziarsi – per esempio in Umbria e Basilicata –, devono organizzare i progetti di prevenzione, formazione e informazione coinvolgendo genitori, operatori pastorali, educatori, insegnanti, allenatori sportivi delle realtà diocesane e chiunque altro sia interessato al problema. Le indicazioni di papa Francesco sono chiare: «L’unico modo che abbiamo per rispondere a questo male che si è preso tante vite è viverlo come un compito che coinvolge e che ci riguarda tutti come popolo di Dio». Chi sono i referenti diocesani? «Laici e laiche, ma anche sacerdoti, religiosi o religiose, in larga parte – riprende il presidente del Servizio tutela minori della Cei – abbiamo attinto alla rete dei Consultori familiari di ispirazione cristiana perché queste persone devono avere competenze educative, oppure teologiche o giuridiche. L’obiettivo è quello di arrivare a costituire in ogni diocesi una struttura agile e competente, con uno sportello per accogliere le segnalazioni e accompagnare le persone che chiedono aiuto». In alcune diocesi il servizio è già attivo.

Ripensare le attività con e per i ragazzi
Tra le buone prassi di prevenzione in parrocchia, cioè su tutto quello che si deve e non si deve fare, è considerata importantissima l’assunzione di una nuova e più documentata consapevolezza. «Dobbiamo ripensare le nostre attività pastorali – sottolinea ancora l’arcivescovo di Ravenna-Cervia – mettendo al primo posto la tutela dei minori. Le nostre proposte hanno, giustamente, tanti obiettivi (catechistici, liturgici, formativi) ma dobbiamo arrivare a pensare per i minori a noi affidati che custodia e vigilanza devono diventare una priorità». Da qui l’esigenza di calibrare su questi obiettivi i comportamenti degli educatori e dei catechisti, ma anche di preti, religiosi e religiose che devono creare le condizioni per un clima tutelante che scoraggi azioni di abuso sia all’interno sia dall’esterno.

Lo snodo dei dati. Perché tanta incertezza?
Gli unici dati credibili sono quelli riportati nelle note del discorso rivolto da papa Francesco, il 2 febbraio, a conclusione dell’incontro sulla «Protezione dei minori nella Chiesa». Citando fonti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – che rimangono comunque stime – si ricorda che sarebbero fino a un miliardo i minori tra i 2 e i 17 anni che hanno subito qualche forma di violenze o negligenze fisiche, emotive o sessuali. Gli abusi sessuali – stime Unicef – riguarderebbero 120 milioni di bambine. In Europa l’Oms ha stimato che nel 2013 oltre 18 milioni di bambini risulterebbero essere stati vittime di abusi.

Le stime italiane arrivano dal Cesvi (6 milioni di bambini vittime di maltrattamenti) e di Telefono Azzurro, che nel 2017 ha calcolato 98 casi, pari al 7,5% dei casi gestiti dal servizio. Per quanto riguarda il clero sappiamo che le vittime risulterebbero al 40% bambine e per il 60% bambini, ma anche qui non esistono studi davvero credibili. In Australia è stato stimato che il 7% dei preti ha commesso abusi. In Italia la stima varia dal 2 al 4%, ma siamo ancora – è il caso di ripeterlo – nel campo delle ipotesi. Ecco perché i grafici pubblicati nei giorni scorsi dal Fatto, con un’improbabile stima delle diocesi "sicure e non sicure", è del tutto inaccettabile.

Ma perché non disponiamo di statistiche più accurate? «Le diocesi – osserva l’arcivescovo Ghizzoni – comunicano i risultati dei casi aperti e di quelli che si concludono con una condanna alla Congregazione per la dottrina della fede. Queste sono le indicazioni del Codice di diritto canonico. È stato osservato che questi dati dovrebbero essere noti anche a noi, come Servizio nazionale per la tutela dei minori della Conferenza episcopale italiana. È quanto auspichiamo. E infatti ne faremo richiesta, pur consapevoli della difficoltà di addentrarci nella valutazione di situazioni che rimangono delicate e complesse».

Non si tratta di stendere veli pietosi per nascondere la realtà ma anche di esigere che non si proceda per semplificazioni banali. Un conto sono i titoli di giornali – da cui per esempio attingono i siti che si occupano di questi problemi –, un altro la realtà. Ci sono le indagini previe, poi eventualmente i processi, poi assoluzioni o condanne. E poi i casi destituiti di ogni fondamento per cui non si avviano neppure le indagini.

«Dalla segnalazione alla condanna, o all’assoluzione, spesso cambiano le cifre. E quasi sempre passano anni. Quanti sono andati a processo, quanti sono stati condannati? Sono conteggi difficili, anche perché – conclude Ghizzoni – i reati sono diversi. Stiamo parlando di un fenomeno, quello sugli abusi nei confronti di adolescenti e preadolescenti, che la stessa scienza psicologica guarda giustamente in modo differenziato. Tutti comunque gravissimi e su cui riflettere senza sconti». Ecco perché è vietato banalizzare e sparare cifre che non possono trovare riscontro. La macchina del fango, soprattutto in questi casi, nuoce gravemente – e allo stesso modo – sia alle vittime sia ai colpevoli.

Dall'incontro con le vittime all'insediamento del Servizio nazionale

«Nell’ascoltare il dolore di queste persone mi sono confermato sul percorso di plagio e, quindi, di abuso di potere che soggiace e prepara quello a carattere sessuale. Siamo chiamati a essere rigorosi nella selezione dei candidati al ministero, avvalendoci dell’apporto delle scienze umane: meglio avere meno preti e religiosi che rischiare la vita di un minore».

Era il 14 febbraio quando il presidente Cei cardinale Bassetti incontrava due vittime di abusi. L’assemblea dei vescovi di maggio ha poi approvato le «Linee guida» ispirate a tre interventi del Papa: la «Lettera al Popolo di Dio» (20 agosto 2018), il discorso al summit delle Conferenze episcopali (24 febbraio 2019) e il motu proprio «Vos estis lux mundi» (7 maggio). La Cei ha anche nominato i membri del Consiglio di presidenza del Servizio nazionale, guidato da monsignor Ghizzoni e coordinato da Emanuela Vinai. Vi siedono anche Carlo Acquaviva, Amedeo Cencini, Anna Deodato, Gianluca Marchetti, Luigi Sabbarese, Gottfried Ugolini, Laura Tesognero, Maria Bianca Giunta, Stefano Lassi, Giacomo Incitti e Chiara Palazzini.

Linee guida e sito Cei, strumenti per agire

«Tutta la comunità è coinvolta nel rispondere alla piaga degli abusi non perché tutta la comunità sia colpevole, ma perché di tutta la comunità è il prendersi cura dei più piccoli. Ogni qualvolta uno di loro viene ferito, tutta la comunità ne soffre perché non è riuscita a fermare l’aggressore o a mettere in pratica tutto ciò che si poteva fare per evitare l’abuso». È un passo delle «Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili» approvate dall’assemblea dei vescovi italiani in maggio, pubblicate a fine giugno e consultabili sul sito del Servizio nazionale per la tutela dei minori (https://tutelaminori.chiesacattolica.it) insieme ad altri documenti della Chiesa, agli interventi del Papa, a notizie e segnalazioni media. «È richiesto un rinnovamento comunitario – si legge nel documento Cei –, che sappia mettere al centro la cura e la protezione dei più piccoli e vulnerabili come valori supremi da tutelare. Solo questa conversione potrà permettere a tutta la comunità di vincere ogni silenzio, indifferenza, pregiudizio o inattività».



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