sabato 25 gennaio 2014
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Se il termine di paragone fosse l’an­nus horribilis  2011, quello della  "scoperta" dello spread e dell’attac­co all’Eurozona, nessuno avrebbe dubbi. «Il miglioramento nel tempo è stato im­pressionante ». L’ha detto Mario Draghi ie­ri a Davos e chiunque operi sui mercati non potrebbe non sottoscrivere queste pa­role, basta vedere il recupero delle Borse nell’ultimo biennio e la contemporanea riduzione dei tassi d’interesse. Il problema però è il futuro prossimo, che forse è già arrivato come testimonia la caduta di ie­ri dei listini del Vecchio continente, la ri­salita dei differenziali e, soprattutto, il ri­torno di fiamma degli investitori per il Bund tedesco, bene rifugio per eccellen­za negli anni della speculazione. Ciò che preoccupa dunque è quel che abbiamo davanti, che per il numero uno della Bce è una ripresa «ancora fragile, debole e mal distribuita». La sensazione è che i gover­ni abbiano fatto sì le riforme, ma solo quel­le dettate dall’austerity, non quelle neces­sarie ad aprire una nuova fase di crescita. Così Draghi rende onore al merito di Italia e Spagna, i Paesi più colpiti dalla crisi del debito sovrano, ma sembra non ac­contentarsi. Prima di tutto perché la mos­sa decisiva, lo dice en passant , l’ha fatta proprio l’Eurotower nell’estate 2012. Fu quel « whatever it takes  » pronunciato alla City, a tranquilizzare definitivamente i mercati: la Banca centrale europea avreb­be fatto «tutto il necessario» per mettere in sicurezza l’euro dagli scossoni dei mer­cati. Dopo quella promessa, ha ricordato, si sono praticamente dimezzati i rendi­menti sui titoli di Stato di Madrid e Roma. Sul percorso dei prossimi mesi c’è un’in­cognita da affrontare, che preoccupa da vicino il nostro Paese: la deflazione, la ca­duta dei prezzi, sinonimo di sfiducia ge­neralizzata nella ripresa. Non si compra più e si tende a rinviare i futuri acquisti, in attesa di ulteriori riduzioni dei costi: co­sì l’economia si avvita su se stessa, fino ad ingessarsi definitivamente. Ma è davvero un’ipotesi concreta? Draghi ha rassicura­to, dicendo di «non vedere deflazione nel­l’area euro, ma siamo ben consapevoli che più dura questo periodo di bassa inflazio­ne, maggiori sono i rischi».L’altro spauracchio rimane ovviamente la disoccupazione, il fenomeno che davve­ro più preoccupa le istituzioni comunita­rie, a livello politico e finanziario. L’alta percentuale dei senza lavoro «è solo in parte dovuta alla recessione», perché «u­na parte è dovuta» invece «alle distorsio­ni che vanno affrontate con riforme strut­turali. È il caso della disoccupazione gio­vanile: c’è qualcosa nella normativa del lavoro che discrimina» le nuove genera­zioni.
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