venerdì 22 aprile 2022
Il leader di Azione: sì solo ad armamenti "difensivi", è la premessa per rendere fattibile una tregua appena possibile. Un obbligo impegnarsi per la parte più responsabile del Paese
Carlo Calenda

Carlo Calenda - Ansa

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Dopo due mesi di guerra russa all’Ucraina, Carlo Calenda si dice «sfiduciato», ma invita a «tenere nervi saldi. Vedo gran confusione, alimentata anche dai social e da una certa retorica - analizza il leader di Azione (di cui esce a maggio il libro "La libertà che non libera") –. Occorre aiutare gli ucraini, ma l’obiettivo primo e tassativo è evitare un’escalation che ci porti verso una terza guerra mondiale».

È un crinale difficile.

Va declinato dicendo sì al massimo all’invio di missili anti-carro e antiaereo, che nella sostanza sono difensivi, ma non ad armi di lunga gittata, altrimenti si corre il rischio che la Russia attacchi le linee di rifornimento causando un incidente irreparabile. Insomma, va mantenuta una dimensione che renda fattibile, il prima possibile, una tregua. Non ancora quella pace che esige che si ricomponga la frattura creatasi, oggi non possibile perché Putin stesso non la vuole.

L’Italia è su questa linea?

Il problema è che c’è un terzo del Paese che nega la realtà, sostenendo quasi che la Nato abbia attaccato Putin. Peraltro faccio notare che Kiev non poteva tecnicamente entrare nella Nato finché era in piedi la contesa sulla Crimea, mentre va fatto ora l’allargamento a Svezia e Finlandia. C’è poi un altro terzo che chiede cose assurde, come inviare ogni arma o rinunciare da subito a tutto il gas russo. Dirlo e non farlo non fa che rafforzare Putin, in questa fog of war dai paradossi estremi, per cui gli stessi ucraini prendono delle commissioni sul gas che passa sui loro territori. Spero che prevalga il terzo che rimane del Paese.

Però sull'aumento delle spese militari al 2% del Pil lei è d’accordo?

Lo sono non per spirito militarista, ma per una misura di prevenzione a cui non si può rinunciare. Per qualificare, in una cornice europea, la spesa delle forze armate italiane: oggi spendiamo tantissimo in personale, ma abbiamo pochi uomini addestrati pronti all’impiego per situazioni di crisi. E, ad esempio, non abbiamo un sistema nazionale anti-missile, che potrebbe purtroppo servirci in un eventuale scenario futuro.

Veniamo alle emergenze economiche.

Qui sono in parziale disaccordo col governo. Invito Draghi a non ripetere l’errore fatto da altri col Covid e, quindi, a intervenire prima e non dopo. Abbiamo dei salari tuttora fermi a meno 10% di prima del 2010, un’inflazione che galoppa, un costo dell’energia che sta distruggendo il sistema manifatturiero e un numero crescente di working poors. Serve un intervento subito da 20 miliardi di euro su aiuti e bollette. Ho proposto di finanziarlo con una tassa al 50% - e non al 10% - degli extra-profitti delle società energetiche che derivano solo da una condizione straordinaria del mercato, purtroppo non si farà perché c’è un legame troppo stretto fra le aziende pubbliche dell’energia e un certo mondo politico. Anche Confindustria ha una linea assolutamente folle: dice no e non tiene conto che gli extra-costi li pagano pure le tantissime piccole aziende.

E per i lavoratori cosa va fatto?

Serve il salario minimo, con la soglia definita da un comitato tecnico che tenga conto del fattore povertà, ma anche del rischio per le aziende di finire fuori mercato. Io penso a un livello attorno agli 8 euro. Con Draghi concordo invece sulla cautela sullo scostamento di bilancio, perché si tratta sempre di lasciare in eredità debiti aggiuntivi ai nostri figli.

Sul gas già dal 2018 denunciava la dipendenza da Mosca.

All’epoca, da ministro, proponevo 2 navi per la rigassificazione, che allora costavano poco mentre oggi non si trovano, e il gasdotto EastMed per importare da Israele alla Puglia 10-12 miliardi di metri cubi di gas. Tutto questo è stato cancellato dal M5s e da Di Maio. Che ora gira per l’Africa in cerca di gas, per fortuna accompagnato da Descalzi. Ora anche il Pnrr va adeguato alle infrastrutture energetiche.

In vista delle elezioni 2023, cosa vede all'orizzonte nel quadro politico?

Temo un centrosinistra che non potrà governare con un Conte che ancora non sa scegliere fra Macron e Le Pen e un centrodestra che sta messo anche peggio. Per questo ritengo oggi un obbligo, per la parte più responsabile del Paese, costruire - e gli spazi ci sono - un polo centrale della ragionevolezza tra le forze popolari, liberali e riformiste, che di fatto costringa gli altri due poli a marginalizzare le estreme. Una coalizione sul "modello Ursula", che potrà nascere se questa forza arriverà almeno all’8%. La classe dirigente dell’Italia è venuta meno al suo primo dovere: garantire ai giovani le premesse e gli strumenti per orientarsi in una realtà sempre più complicata. Oggi abbiamo un capitale umano insufficiente, con cui nessun Paese può rilanciarsi e dar vita a una società più giusta.

Un progetto che ha perso Draghi come potenziale leader: il premier deve essere eletto, ha detto nella recente intervista.

Ho apprezzato l'intervista del presidente del Consiglio. Quello che ha detto è vero In tempi normali, questi però non lo sono. Vedremo, c’è un anno. La legge elettorale non cambierà, tutto questo potrà avvenire solo dopo le elezioni. Ma prima, per recuperare rappresentanza nel corpo elettorale, fattori fondamentali sono disporre di un ceto politico dal comportamento etico irreprensibile e l’assenza di conflitti d’interesse. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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