giovedì 8 giugno 2017
Giulia è nata con tre patologie gravissime. Il padre Gerardo, muratore, ora ha trovato lavoro, ma senza macchina lo perderà subito. "La nostra si è rotta, come arriverò in ditta? Chi può prestarmela?"
«La nostra Giulia ha tre malattie rare. Vi prego, ci serve solo un'auto»
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«Tornassi indietro non la rifarei». Parole dure, subito sconfessate dallo sguardo di leonessa che lecca le ferite del cucciolo. «Non la rifarei perché, quando nascono

questi

figli, i primi anni li passi in ospedale. Fin dalla nascita: Giulia fu dimessa a 40 giorni... E inevitabilmente il fratello più grande resta nell’angolo». Giulia, il cucciolo, oggi ha 25 anni e tre malattie rare, aggettivo che già condanna alla solitudine, perché gravi come te ce ne sono pochi al mondo e non è un bel record. La malattia rara è anche poco conosciuta, non si investe denaro su un male poco gettonato, e pure i farmaci sono detti "orfani": esisterebbero ma produrli non conviene. Così inizia il calvario dell’impotenza, «ci dispiace, non sappiamo come evolverà la malattia né quanto tempo suo figlio vivrà. Non sappiamo nemmeno cosa fare per lui».


La leonessa è Lucia Giovine, 48 anni, viso scavato ma sguardo fermo: «Io non mollo, tutti i figli hanno diritto a una vita dignitosa ma questi figli di più. I politici parlano solo di come lasciarli morire, ma di come farli vivere interessa a qualcuno?». Giulia siede al tavolo tra mamma Lucia e papà Gerardo appena rientrato dal lavoro, ride e batte le mani se si parla di lei. «Secondo le ecografie era maschio, ed era tutto a posto», mostra i documenti sua madre. Doveva chiamarsi Cristian, quando è nata al San Gerardo di Monza nel 1991, «invece l’ostetrica, sorpresa come noi, ci ha detto che era femmina». Ad Andrea, un anno e mezzo, avrebbero portato una sorella anziché un fratellino, «tutto bene quindi». Se non che il secondo giorno Giulia faticava a respirare... «L’ho rivista ore dopo nella culla termica con una cannula in bocca». Era solo l’inizio.

«Agenesia del corpo calloso», legge dalla cartella del reparto neonatale, termini drammaticamente familiari. «Le mancano i ponti di collegamento fra i due emisferi dell’encefalo», ci spiega, «un’anomalia che blocca il linguaggio», eppure lei e il marito comprendono tutto in quel dialogo tra iniziati che sono i suoni di Giulia, da cui noi restiamo esclusi. «Solo 19 anni dopo siamo stati informati delle altre due patologie». Era il 2010 e il ministero della Salute aveva organizzato a Torino un corso per genitori su malattie rare e farmaci orfani. «Lì abbiamo trovato medici meravigliosi che leggevano le carte dei nostri figli e ci spiegavano tutto. Quel giorno ho saputo che Giulia aveva anche una oloprosencefalia e un diabete insipido adipsico», causa di gravissime anomalie nel sistema nervoso centrale. Tra tanti ospedali, nessun medico glielo aveva mai comunicato, «eppure c’era scritto tutto. Saranno pure malattie inguaribili – si ribella Lucia –, ma il percorso diagnostico esiste ed è fondamentale, possibile arrivarci dopo 20 anni?». Da allora i medici di Torino non hanno più lasciato quella che chiamano «la bimba di Monza» e Giulia li ricambia ribattezzandoli uno per uno, «Gigante buono», «dottor Babbo»...

Non c’è muro che Lucia e Gerardo non abbatterebbero per lei, nonostante la burocrazia («l’Asl sosteneva che la sedia speciale era fuori tariffario e non era vero. Alla fine ce l’hanno data ma prima ti fanno disperare!»), i prezzi dei farmaci («paghiamo il ticket per decine di medicinali, solo il salvavita è gratis»), la necessità di continuare a curarla a Torino, quindi a spese proprie («ma li ha visti gli sguardi di Giulia? Secondo lei le portiamo via i suoi medici?») e la miseria con cui un disabile al 100% dovrebbe vivere (700 euro al mese tra pensione di invalidità e accompagnamento). Come sempre accade in queste famiglie, Lucia, domestica, perse subito l’impiego per assistere la bambina giorno e notte, mentre Gerardo, muratore, lavorava duro per sostenere le enormi spese di Giulia.

Finché nel 2013 l’impresa chiude e lui resta disoccupato, con i 157 euro al mese di affitto da pagare per la casa popolare, le cure, le bollette... E ora che la speranza si riaffaccia, il destino sembra giocare come il gatto col topo: «Saputa la nostra storia, un imprenditore mi ha assunto per sei mesi a 35 chilometri da casa. Dopo 4 anni avere sei stipendi veri significa poter tornare a Torino dai dottori e mangiare tutti i giorni... Ma l’altra mattina il motore dell’auto si è fuso», si accascia sul divano con la testa tra le mani. In ditta è andato con un’auto prestata e così farà oggi e domani, «ma se non trovo subito una macchina perderò il lavoro», si dispera. Con i mezzi pubblici – consultiamo insieme il sito – partendo alle 5,30 arriverebbe con due ore di ritardo, dopo 169 minuti di viaggio e quattro cambi. «Chissà quante persone hanno una vecchia auto inutilizzata che potrebbero darmi! La prego, faccia un appello, io non posso perdere questo lavoro. Non chiedo né soldi né altro, vi supplico, voglio solo poter andare a lavorare».

Giulia fa brum brum con la bocca, è il suo modo per dire che ha capito, poi corre ad abbracciare il padre e indica sul muro l’immagine di Gesù tra papa Wojtyla e papa Francesco. Lucia un po’ ci crede e un po’ ci spera: «Quando Gerardo è rimasto a piedi, un minuto dopo Avvenire ha telefonato che veniva la giornalista a fare il pezzo su Giulia. Vedrai, non è un caso».


Un piccolo aiuto per la famiglia di Giulia attraverso

«La voce di chi non ha voce»La famiglia di Giulia ha urgente bisogno di un sostegno. Avvenire risponde facendo appello ai suoi lettori: si può aiutare anche con un piccolo contributo sul ccp 15596208 intestato ad Avvenire, «La voce di chi non ha voce», P.zza Carbonari 3, Milano. Gli assegni devono essere intestati ad Avvenire, "La voce di chi non ha voce". Si può anche effettuare un bonifico a favore di Avvenire, "La voce di chi non ha voce", conto n. 12201 Banca Popolare di Milano, ag. 26, cod. IBAN IT 65 P0558401626000000012201.

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