martedì 6 ottobre 2020
Il premio è andato per metà al britannico Roger Penrose e per l'altra metà, insieme, al tedesco Reinhard Genzel e alla statunitense Andrea Ghez
L'annuncio, a Stoccolma, del premio Nobel per la fisica 2020

L'annuncio, a Stoccolma, del premio Nobel per la fisica 2020 - Ansa

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Per il secondo anno consecutivo il Nobel per la fisica viene assegnato a temi riguardanti l’astrofisica. Dopo i pianeti extrasolari del 2019, quest’anno il riconoscimento dell’Accademia reale svedese delle scienze va ai misteriosi (ma sempre meno) buchi neri. E come spiega la motivazione «ai più oscuri segreti dell’universo» e agli studi e ricerche, avviati da decenni, da parte di Roger Penrose, Reinhard Genzel e alla fisica Andrea Ghez. E così come capitato per altre memorabili scoperte recenti, come quella sulle onde gravitazionali, ecco ancora rispuntare Albert Einstein, più di cent’anni dopo la pubblicazione della teoria sulla relatività generale. Penrose infatti, ha utilizzato ingegnosi metodi matematici per dimostrare che i buchi neri sono una diretta conseguenza della teoria di Einstein, il quale peraltro non credeva che queste concentrazioni di materia, tali da far richiudere completamente lo spazio- tempo su se stesso, che catturano sia la materia sia la radiazione e da cui non può sfuggire nulla, potessero davvero esistere.

Il premio va per metà al britannico Roger Penrose, il più celebre del terzetto, per le sue idee a volte controcorrente, e per la sua attività di divulgatore. Una vita dedicata alla fisica, alla matematica, e alla meccanica quantistica. La motivazione: «Per la scoperta che la formazione dei buchi neri è una predizione robusta della teoria della relatività generale». L’altra metà va a Genzel e Ghez «per la scoperta di un oggetto supermassiccio compatto al centro della nostra galassia». In pratica, un buco nero. «Uno dei fenomeni più esotici dell’universo», come sono stati definiti i buchi neri dall’Accademia svedese che ieri alle 12 ha conferito i Nobel.

I buchi neri sono stati resi famosi dalla scienza, ma ancor più dalla fantascienza. Si tratta di stelle di grande massa “collassate”, poiché al termine della loro vita, che diventano corpi assai compatti circondati da campi gravitazionali che non lasciano sfuggire né la materia né la radiazione. La forte attrazione gravitazionale che si sviluppa deforma lo spazio, impedendo alla luce di uscire. Nell’universo ve ne sono una moltitudine ancora non calcolabile e di diverse tipologie, anche il telescopio spaziale Hubble della Nasa, realizzato con la collaborazione dell’Esa europea, ha consentito la scoperta di un numero cospicuo: celebre quello del 1987, un gigantesco buco nero in grado di contenere 3 miliardi di masse solari.

Ma possono essere piccoli (possono avere massa di 100 milioni di tonnellate), giganteschi, medi, alcuni più recenti, formatisi dopo l’esplosione di stelle antiche. La loro scoperta e caratterizzazione non è stata semplice. Non essendo possibile osservarli direttamente si è dovuto indagare sui fenomeni da essi provocati. Molte stelle ad esempio possono ruotare attorno a un buco nero per tempi indefiniti e poi finirvi dentro: cadendo, prima di scomparire, la stella viene compressa e riscaldata a una tale temperatura che emette un lampo di luce e radioonde percepibile a distanza come un’esplosione.

«Nel gennaio 1965, dieci anni dopo la morte di Einstein, Roger Penrose dimostrò che i buchi neri possono davvero formarsi e li descrisse in dettaglio; nel loro cuore, i buchi neri nascondono una singolarità in cui tutte le leggi conosciute della natura cessano. Il suo articolo, in pratica la pubblicazione di un lavoro scientifico, è assai innovativo e ancora considerato il contributo più importante alla teoria della relatività generale dai tempi di Einstein», spiega l’Accademia reale svedese delle scienze. Gli altri due scienziati insigniti del Nobel, a cui è andata pari merito l’altra metà, 5 milioni di corone svedesi, sono Reinhard Genzel e la scienziata Andrea Ghez, che guidano ciascuno un gruppo di astronomi che, dall’inizio degli anni ’90, si è concentrato su una regione chiamata Sagittarius A al centro della nostra galassia. «Le orbite delle stelle più luminose vicine al centro della nostra galassia sono state mappate con crescente precisione. Le misurazioni di questi due gruppi concordano, trovando entrambi un oggetto estremamente pesante e invisibile che attira le stelle, facendole correre a velocità vertiginose. Circa quattro milioni di masse solari sono raggruppate in una regione non più grande del nostro sistema solare».

Genzel è nato nel 1952, è di origine tedesca ed è direttore del Max Planck Institute for extraterrestrial physics a Garching, in Germania, e professore all’università della California, mentre Andrea Ghez, nata nel 1965 a New York, quarta donna a vincere il Nobel per la fisica, è professoressa all’università della California. Sono entrambi a capo di gruppi di ricerca sui buchi neri.

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