martedì 9 dicembre 2014
Dopo la sentenza della Corte di giustizia si moltiplicano le condanne contro lo Stato.
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​Dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea, che ha ordinato all’Italia di assumere tutti i precari della scuola (insegnanti e personale Ata), con almeno 36 mesi di servizio, si moltiplicano le condanne a carico dello Stato emesse dai Tribunali del lavoro. Ne dà notizia il sindacato autonomo Anief, che nel 2010 promosse il primo ricorso alla Corte di Lussemburgo, prevedendo che, nelle prossime settimane «i tribunali del lavoro saranno invasi da ricorsi». Secondo il presidente Marcello Pacifico, a rivolgersi ai tribunali potranno essere i 125mila iscritti alle Graduatorie ad esaurimento con, appunto, almeno 36 mesi di servizio. A fronte di questi numeri, l’Anief chiede anche al Parlamento, impegnato nella discussione della Legge di Stabilità, di «ridurre i tempi di attuazione della sentenza» e di «attenuare gli effetti nefasti per le casse dello Stato».Sul punto la “lettura” della sentenza europea non è univoca. Mentre il sindacato parla di almeno 250mila lavoratori coinvolti e di risarcimenti per oltre 6 miliardi di euro, il governo, con il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, quantifica in 16-17 mila i lavoratori interessati, sostenendo che, per risolvere il contenzioso, basteranno le 148.100 assunzioni previste dal piano della Buona scuola.«Continuare a far finta che il 26 novembre a Lussemburgo non sia accaduto nulla – si legge in una nota dell’Anief – non farà altro che moltiplicare in modo esponenziale il contenzioso tra i lavoratori e lo Stato». Per il sindacato, che cita il giudice del Tribunale di Napoli, Paolo Coppola, promotore del ricorso alla Corte di giustizia europea, il conto è presto fatto: «Se si considerano almeno 250mila-260mila precari coinvolti, come indicato da Ragioneria generale dello Stato e Corte di Conti, ognuno di loro potrebbe rivendicare un risarcimento danni per la mancata assunzione pari a 15 mensilità, cui si aggiunge il 2,5 per cento di “collegato al lavoro”. Si arriva così ad un rimborso di circa 24mila euro a precario. Se si moltiplica questa cifra per almeno 250mila aspiranti all’assunzione con almeno 36 mesi di servizio svolto, si arriva a 6 miliardi di euro. Ma si tratta di una stima in difetto – avverte il sindacato – perché nel computo bisognerebbe inserire anche coloro che sono stati già stabilizzati e che, per il principio di non discriminazione, potrebbero richiedere a loro volta i danni per l’assunzione ritardata».Insomma, un bel pasticcio che, sempre stando alle previsioni del sindacato, è destinato a ingarbugliarsi ulteriormente. Oltre alle 250mila assunzioni stimate dopo la lettura della sentenza (che comprendono anche circa 40mila unità di personale ausiliario tecnico e amministrativo), «il Parlamento ha il dovere di far passare per via legislativa il diritto all’assunzione dei docenti precari inseriti nella seconda fascia d’Istituto, oltre che di tutti gli abilitati dopo il 2011, assieme al diritto di accordare gli scatti di anzianità anche al personale precario».Su quest’ultimo punto, la Corte europea è stata molto chiara: il personale precario non deve essere discriminato rispetto a quello di ruolo. Presupposto che, per esempio, è stato citato nella sentenza, sempre della Corte europea, che, qualche mese fa, consentì a due insegnanti precari, di vedersi assegnare il posto da dirigenti, che avevano vinto partecipando al concorso e facendo valere anche il periodo di servizio “pre ruolo”. Equiparato, appunto, dai giudici dell’Unione, a quello in ruolo.«In attesa che chi ci governa cancelli finalmente quelle leggi che hanno prodotto il problema del precariato endemico, nella scuola come in tutta la pubblica amministrazione – dichiara Pacifico – le azioni giudiziarie rimangono l’unico strumento per costringere il Governo a dare effettività a quanto deciso dalla sentenza tombale del 26 novembre: un’espressione europea che – conclude il presidente Anief – ha messo la parola fine alla stagione della negazione dei diritti fondamentali dei lavoratori precari».
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