lunedì 1 dicembre 2014

Viaggio nella città del tessile dove persero la vita sette lavoratori cinesi. Il sindaco Biffoni: «L’emergenza non è finita, ma il clima è cambiato»

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Davanti alla fabbrica di via Toscana, dove un anno fa persero la vita sette lavoratori cinesi, c’è un piccolo laboratorio. Sopra la casella della posta, i proprietari hanno lasciato un messaggio: «Non mettete qui i documenti, loro non ci conoscono». «Noi» e «loro» restano i pronomi più usati a Prato per indicare due storie e due appartenenze profondamente diverse, anche se il tentativo di avvicinare la comunità italiana e quella arrivata dalla Cina in anni remoti, è la novità più importante degli ultimi 12 mesi. «L’emergenza non è finita, ma il clima è cambiato», premette il sindaco Matteo Biffoni, eletto la primavera scorsa. Il ritorno alla normalità è previsto in  tre anni, necessari per passare in rassegna le aziende di proprietà cinese, non solo nel Macrolotto pratese, ma anche a Firenze e Pistoia. «Stiamo passando al setaccio tutte le fabbriche – conferma Aldo Fedi, direttore del Dipartimento di prevenzione dell’Asl pratese –. L’obiettivo è individuare i dormitori e smantellarli, così come la presenza di cucine e bombole a gas negli ambienti di lavoro. La priorità è la sicurezza». I controlli giornalieri riguardano una decina di fabbriche e mirano a verificare l’applicazione delle norme. «È l’inizio di un percorso – osserva Renzo Berti, capo della task force regionale per affrontare l’emergenza – che punta a garantire un sostegno a chi vuole uscire dall’illegalità». Su 500 verifiche effettuate, 138 laboratori hanno passato l’esame, mentre a 260 ditte sono state notificate sanzioni e prescrizioni dagli ispettori dell’Asl. «In 40 casi le criticità sono state così gravi che abbiamo dovuto chiudere e sequestrare gli impianti», spiega Berti.Il problema rimane il sottobosco di sfruttamento e sommerso che, nel pronto moda e nel confezionamento dei tessuti, continua a essere la regola, con la complicità di italiani disposti ad affittare spazi in nero. L’omertà che ha regnato per anni è entrata nei radar della politica, con il Comune, parte civile nel processo sulla fabbrica killer contro i titolari di Teresa Moda. «Quella vicenda è stata uno sfregio violentissimo nei confronti di tutta Prato, senza distinzioni», afferma Biffoni. Anche la Chiesa locale ha fatto sentire la sua voce. «Non limitiamoci a commemorazioni di circostanza, ma facciamo di tutto perché fatti di questo genere non abbiano a ripetersi – aggiunge Franco Agostinelli, vescovo di Prato e delegato regionale per i migranti -. È impensabile che una persona debba rischiare la vita, laddove si guadagna il pane per vivere».Il sindaco è convinto che «i banditi vadano perseguiti sempre e anche per questo le politiche di repressione, fatte su denuncia e segnalazione dei cittadini, devono andare avanti. Però questo non basta più». Occorre un lavoro di mediazione, magari condotto da cinesi e italiani insieme. È quello che cerca di fare lo Spazio Compost, teatro e punto di aggregazione per chi vuole un incontro tra culture diverse. «È necessario un riconoscimento sociale per la comunità cinese, che finora è mancato», spiega Shi Yang, uno degli animatori del progetto.Più ottimista è uno dei due imprenditori cinesi associati alla Confindustria locale, Gabriele Zhang, tra i primi a dire «mai più» il primo dicembre di un anno fa. «Un passo avanti c’è stato – riconosce – i pregiudizi erano sbagliati, ma va cambiata mentalità. I miei connazionali hanno capito che i controlli servono e che il valore della vita è più importante». Gli ispettori delle Asl confermano il contagio positivo innescato dal passaparola sulle misure di sicurezza per gli impianti. «C’è un cambiamento, anche da parte della politica», riconosce Zhang. Sullo sfondo una situazione sociale al limite della rottura, con molti poveri, italiani e stranieri, in fila alla Caritas e il dramma disoccupazione in una terra che, fino a ieri, viveva il lavoro come una religione. «La sfida per uscire dalla crisi è tornare ad educare le terze generazioni», conclude Biffoni. «Vero», concorda Shi Yang, che domani sera durante la cerimonia di commemorazione leggerà la storia delle sette vittime della fabbrica killer. In lingua italiana e cinese, perché le contrapposizioni non devono più esistere.
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