venerdì 31 maggio 2013
Si ribellò alla camorra, subì una serie di gravi attentati. Ora Raffaele Rossi vuole ripartire. Ma l'autorizzazione non arriva. «Il Comune non mi aiuta - denuncia -. E i boss vincono». L'impegno del parroco don Giorgio Pisano. (Antonio M. Mira)
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Una firma. Manca solo questa per ridare vita al ristorante "Ciro a mare", simbolo della lotta al racket, per ridare «giustizia e dignità» alla famiglia Rossi che per il suo «no» al pizzo ha pagato duramente, ma anche per dare lavoro a venti persone. Ma la firma da mesi non arriva. «La metteremo domani mattina», avevano assicurato più volte al comune. Invano.  «Una data da ricordare 4/1/2009. Il fortino della legalità non crollerà mai». Le parole spiccano sul grande striscione mosso dalla brezza. È appeso a mura scrostate e annerite. È il ricordo di 4 anni fa, ore 4,15, quando un incendio distrusse il grande locale sul lungomare del porto del Granatello a Portici. Era l’ultimo messaggio del clan Vollaro. Il primo arrivò nel 2001. «Ci chiesero 50 milioni di lire, tanto per aprire il "contratto», ricorda Raffaele Rossi. «Invece andai subito a denunciare» (gli estorsori sono stati condannati). Il giorno dopo scattò l’avvertimento: 8 colpi di pistola contro l’ingresso. Altra denuncia. «Da noi si dice "meglio una morte è subito che lenta"». Nel 2004 una bomba esplode davanti al locale, con gravi danni. Poi minacce telefoniche e nel 2006 cinque colpi di pistola contro Raffaele che, per fortuna, rimane illeso. «Sono subito andato a denunciare facendo, come le altre volte, il nome del clan Vollaro. Ma ho rinunciato alla scorta». Non mollano i quattro cugini Rossi, Raffaele, Massimo, Teresa e Ciro. «Dobbiamo dare ai nostri figli un’immagine di legalità, e che i soldi si guadagnano col sudore della fronte». Lavorano sodo, con successo. Ma il clan (e chi li sostiene…) non molla. Così arriva l’incendio. Il giorno dopo i cugini affiggono un cartello: «Chiuso per camorra». E annunciano: «Noi ce ne andiamo, avete vinto voi». Vanno a lavorare fuori regione. Sono bravi e hanno molte offerte. Ma non sono soddisfatti. E decidono di tornare e riaprire, grazie anche al Fondo di solidarietà antiracket del Viminale. «Tutta la famiglia è impegnata, dobbiamo chiudere la pratica». Tutto sembra in ordine. Le autorizzazioni sono in regola. Viene condannato anche l’esecutore dell’incendio. Caso rarissimo. «Non ha mai voluto dire chi lo avesse mandato ma per noi è chiarissimo». Manca solo la firma per la concessione demaniale per 29 anni. Ne hanno diritto, ma tarda. Intanto, sul loro esempio, nasce l’associazione antiracket dedicata a Raffaele Panunzio, imprenditore ucciso a Foggia, che oggi ha 15 soci. A sostenerla è don Giorgio Pisano, parroco della chiesa del Sacro Cuore di Gesù che nel 2008 ha già fatto nascere il centro antiusura "Don Pino Puglisi". «Come pastore avevo conosciuto situazioni di soggezione al racket. Le ho messe insieme in veste associativa». Il battesimo il 19 ottobre 2012 alla presenza del cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe e del procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso. Il sindaco Vincenzo Cuomo (oggi senatore Pd), assicura: «L’ultimo atto che firmerò prima di dimettermi è la concessione per "Ciro a mare"». Ma non arriva. E neanche dal commissario prefettizio che ha guidato il Comune fino alle elezioni di domenica. Il presidente della Federazione antiracket italiana, Tano Grasso, fa un appello proprio ai due candidati al ballottaggio: «Chiediamo di dire una parola chiara sulla riapertura. La lotta alla camorra in questa città non si può fare con chiacchiere e "ammuina", ma con atti concreti. Non basta che chi ha dato fuoco sia in carcere se il locale non riapre. Così sarà più facile per altri denunciare. Ma purtroppo ci sono pressioni perché non accada».Ci sono molti appetiti su quella zona, dove sorgerà il nuovo porto turistico. «Facciamo un appello alle coscienze, soprattutto di chi ha responsabilità – insiste don Giorgio –. C’è crisi, manca lavoro. E qui ci sarebbe. E sarebbe davvero una risposta alla camorra per dire "noi non stiamo col racket"». Intanto davanti al ristorante ancora bloccato i cugini Rossi hanno costruito un piccolo bar e predisposto un’area per le feste. «Vogliamo far capire che noi stiamo sul territorio e ci vogliamo restare». I 7 giugno festa antiracket. Manca solo quella firma per poter dire davvero «qui la camorra ha perso».
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