venerdì 16 luglio 2010
Il vescovo di Locri, Morosini: i boss al santuario ripresi nel video offendono l'espressione più autentica e genuina della pietà popolare.
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Le immagini inequivocabili girate dall’obiettivo dei carabinieri, puntato sul santuario di Polsi, rappresentano la conferma di quanto molti ipotizzavano da anni: i capi della ’ndrangheta reggina si ritrovavano nel cuore dell’Aspromonte, durante la festa della Madonna della Montagna, per definire compiti e nuove gerarchie tra gli affiliati. Un rito arcaico, ancestrale, che profana il senso della festa religiosa, uno degli appuntamenti di maggior richiamo per migliaia di pellegrini, anche siciliani e calabresi, che raggiungono, con ogni mezzo di fortuna la valle di Polsi. E tra quei pellegrini, identici a quelli descritti da Corrado Alvaro, molti a piedi ed addirittura scalzi, persone autenticamente devote, si mescolavano i capi bastone. Eppure Polsi, ora additata come "santuario della ’ndrangheta", rimane una delle ultime e rare testimonianze del monachesimo basiliano ancora in vita da queste parti. «Polsi è luogo di fede, non di malavita», ripete il vescovo di Locri-Gerace, Giuseppe Fiorini Morosini, che porta anche il titolo di abate commendatario del Santuario. Monsignor Morosini si trova a Locri da due anni e mezzo e sin dal suo arrivo è sempre stato presente a Polsi, durante la festa che si celebra il 2 settembre, ma anche in occasione di altre iniziative pastorali. «Nel santuario si vive una storia di fede antica e radicata - afferma - una storia scritta da migliaia di persone che si recano in pellegrinaggio per pregare la Madonna». Appare evidente il contrasto e la grande contraddizione tra l’espressione più genuina della pietà popolare, da una parte, ed il tentativo degli "uomini d’onore" di appropriarsi dei riti e dei simboli religiosi, dall’altra. Proprio qualche giorno fa, mentre amministrava il sacramento della cresima, monsignor Morosini è tornato a ribadire l’importanza di una fede matura («La fede spesso è ridotta a gesti sporadici legati alla tradizione religiosa e culturale e compiuti durante l’anno o in certe occasioni della vita; essa per tanti non è più scelta di Gesù come modello di vita, che bisogna incarnare nel vissuto quotidiano»); ed ha rimarcato che annualmente impartisce circa duemila cresime (moltiplicate per dieci, se ci si ferma solo all’inizio di questo millennio, fanno 20 mila), un vero un esercito di cristiani, eppure il male non si ferma, non viene contrastato. «Il satana dei nostri giorni - ha detto il vescovo -  si chiama avidità di ricchezza conseguita a qualunque costo, spacciando droga, praticando l’usura e le estorsioni, favorendo ogni sorta di malaffare». Questi capi bastone che vengono chiamati "padrini", che "battezzano" i nuovi affiliati, che tengono nei loro bunker le immagini della Madonna di Polsi, si appropriano dunque dei segni, dei simboli religiosi ed anche del linguaggio. Tentano di essere protagonisti incontrastati nelle processioni delle feste patronali, come ha insegnato il recente caso dell’Affruntata di Sant’Onofrio. La risposta che la Chiesa può dare è quella di formare testimoni credibili e forti nella fede in Cristo: «Nessuno di noi può mai sentirsi maturo nella fede - ha sottolineato nelle Indicazioni Patorali monsignor Morosini - perché tutti abbiamo bisogno di crescere nella conoscenza di Cristo e della sua parola, per giungere ad una identificazione piena con lui. Ecco allora il bisogno, dopo l’iniziazione cristiana, di una formazione permanente, che deve durare tutta la vita». Al pari della Chiesa italiana, la diocesi di Locri-Gerace sta puntando molto sulla formazione, anche se il cammino appare ancora lungo. La vicenda del summit ’ndraghetistico di Polsi favorisce l’occasione anche per mettere il dito nella piaga della viabilità per raggiungere il santuario: «A Polsi non esistono strade sicure per arrivarci - rimarca il vescovo Morosini - se si realizzassero, il santuario sarebbe più accessibile e sicuramente si renderebbero più difficili gli incontri di questa gente che delinque».
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