mercoledì 27 maggio 2009
Il palazzo dei Versace, la più potente famiglia della ’ndrangheta locale, diventa un centro di aggregazione giovanile. È affidato alla parrocchia. Ma la strada per cambiare il quartiere sarà lunga.
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Ore 20 di sabato scorso. Al n.43 di via Catena a Polistena, grosso centro della Piana di Gioia Tauro, si taglia il nastro tricolore. Taglio di inaugurazione, ma soprattutto taglio col violento e illegale passato. Quello che era il palazzo dei Versace, la più potente famiglia della ’ndrangheta locale, diventa un centro di aggregazione giovanile. Assegnato, dopo la confisca, alla parrocchia di Santa Marina Martire, la Chiesa Matrice del paese. Un tempo simbolo del potere mafioso e oggi, grazie anche al contributo della trasmissione di Rai1 "I sogni son desideri" (30mila euro che si aggiungono ad altrettanti spesi dalla parrocchia), simbolo di speranza e di riscatto. Cinque piani all’ingresso del paese, nel quartiere della Catena, quello più problematico, feudo incontrastato anche oggi di gruppi mafiosi, prima i Versace e poi i Longo con loro imparentati. Lì ci sono le loro case, ma questa da oggi non è più "cosa loro" ma "casa dei giovani".Si comincia dai 170 metri quadrati di quello che era il "Bar 2001", battezzato così negli anni ’80, nome pretenzioso, di una cosca che diceva «Siamo noi il futuro» (il nome poi è diventato "Au petit bijou"). Luogo di incontri e di affari. Per i mafiosi e i loro alleati, ma purtroppo anche di tanti giovani. «La zona dove sorge il palazzo non solo è il quartiere generale di alcune famiglie mafiose – spiega il parroco don Pino Demasi, vicario generale della Diocesi di Oppido Palmi –, ma è una zona dove mancano centri di aggregazione per i giovani. L’unico punto di incontro – aggiunge don Pino, che è anche referente di "Libera" per la Piana di Gioia Tauro –, oltre alla strada, era fino a qualche tempo fa proprio il bar, con tutti gli aspetti negativi che ne conseguivano». Proprio per questo si è deciso di cominciare da qui. Con la massima visibilità e trasparenza: ampie vetrate per far vedere anche da fuori le attività che si svolgeranno. Il progetto è già pronto, ed è quello sulla base del quale il palazzo, assegnato dalll’Agenzia del Demanio al comune, è stato poi affidato alla parrocchia: attività ludiche libere, sostegno scolastico, cineforum, giornalismo, animazione organizzata, internet point, scambio con altri centri di aggregazione, biblioteca. E poi attività sportiva nella grande piazza davanti al palazzo. Anche per questa area si respira un’aria nuova: da anni dedicata a Giuseppe Valarioti, insegnante e segretario del Pci di Rosarno, ucciso nel 1980 dal clan dei Pesce la sera della vittoria alle elezioni comunali, ma il suo nome nella piazza non era mai comparso. Ora, invece, il cartello c’è: "Piazza Giuseppe Valarioti, vittima della mafia". E anche questo è un forte segnale di cambiamento. «Abbiamo riconquistato la piazza. Prima era "loro"», dicono i ragazzi di don Pino.Palazzo del potere mafioso. Ma questo non ha evitato che per anni ospitasse l’Istituto magistrale, fino a quando proprio don Pino assieme al preside Marafioti chiese il trasferimento che, però, dopo inspiegabili ritardi, avvenne solo dopo la singolare protesta delle lezioni in piazza. Sono invece continuate le feste di matrimonio negli enormi saloni al primo piano. Si ricordano quelle lussuose di qualche rampollo della cosca. «C’era la fila fin sulla strada per consegnare la "busta"». Già, quel "regalo" che tutti sono ancora oggi obbligati a portare. Non meno di 100 euro. «È una sorta di assicurazione». Ma ora anche il grande salone, così come i piani superiori, farà parte del nuovo progetto di recupero (una bottega dei prodotti dei terreni confiscati, un ostello). I giovani dei gruppi parrocchiali sono pronti, entusiasti di questa nuova sfida. E ieri sera si sono incontrati nel centro per la prima volta.Certo la strada sarà lunga. Questa sera non c’è nessuno del quartiere. Le auto rallentano. Ma nessuno partecipa. I bambini giocano nei vicoletti. I più grandi guardano da lontano. «Ma è proprio per questo – dice don Pino – che abbiamo voluto questo centro, proprio per loro. Siamo convinti che il quartiere cambierà. Non sarà facile, ma dovevamo cominciare». E lui la "famiglia" la conosce bene. Non sono mancati scontri anche molto duri, ma anche tentativi di dialogo, soprattutto con le nuove generazioni. E non è certo un caso che nel progetto del centro viene dato molto spazio al coinvolgimento delle famiglie del quartiere (che, ovviamente, non sono tutte mafiose). «Il sogno si fa segno» ripete ancora una volta don Pino, non nuovo ad iniziative di frontiera. Anche quando qui scorreva il sangue. Proprio davanti al bar, la sera del 17 settembre 1991 si consumò quello che ancora oggi viene ricordata come "la strage del bar 2001". Due fratelli Versace vennero uccisi e un terzo si salvò solo fingendosi morto (ora vive proprio qui di fronte). Era la risposta della potentissime cosche della Piana al tentativo dei polistenesi di allargarsi verso la costa, violenza contro violenza. Una vera azione di guerra, quattro auto e sedici killer. Fu l’inizio della caduta dei Versace soppiantati poi dai Longo. Era sera allora ed è sera oggi. «La strada venne bloccata dalle auto dei mafiosi, per tenere lontana la gente – ricorda uno che allora fu testimone –. Oggi dalle auto della polizia per permettere la festa. Che cambiamento!».Già, sembra davvero un altro mondo. Anche se siamo solo all’inizio del cammino. Unica nota stonata le due insegne luminose del bar che ancora spiccano sull’altro lato della strada. Una addirittura attaccata a un palo dell’illuminazione pubblica. Lo segnaliamo al sindaco, Giovanni Laruffa, presente con fascia tricolore all’inaugurazione. «Non sarebbe il caso di toglierle?». «Ha ragione. Oltretutto sono anche abusive. Abbiamo già deciso di abbatterle. Mi impegno a farlo al più presto». Solo una promessa? Ieri gli operai del comune hanno tirato giù anche questi simboli del potere della cosca. Anche questo è un bel segnale di questa Calabria, che almeno qui a Polistena, vuole cambiare. E lo sta facendo con fatti concreti. «Cambiare per restare, restare per cambiare», era il vecchio slogan dei primi gruppi giovanili parrocchiali. Sempre valido. Soprattutto qui, in questo ex bar dei mafiosi e ora segno visibile di speranza.
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