martedì 9 dicembre 2008
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Il consumatore italiano è superprotetto ma quello del maiale alla diossina potrebbe essere un vero e proprio caso di truffa alimentare. Giorgio Poli, ordinario di microbiologia alla facoltà di veterinaria dell’Università di Milano analizza l’ennesima emergenza alimentare che ha investito l’Europa. Poli è stato membro del Consiglio Superiore di Sanità ed oggi fa parte del Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare, l’authority italiana che supporta con i propri pareri l’attività di governo e regioni in questo campo.Il giorno dopo l’allarme, tutti parlano di "rischio zero" per i consumatori di braciole. Ma dobbiamo crederci?A livello scientifico il livello zero è difficile da dimostrare; sicuramente, il rischio in questa vicenda è molto basso perché sono stati individuate le fonti della contaminazione. Mi pare che, a vent’anni dalla crisi della Bse, la rete che difende il consumatore europeo abbia dimostrato ancora una volta di funzionare bene. Merito della mucca pazza se oggi il piatto è più sicuro?Lo dicono i fatti. Quella crisi fu tenuta "segreta" per anni dal governo britannico, anche perché i servizi veterinari inglesi dipendono dal ministero dell’agricoltura. Noi italiani abbiamo fatto una scelta diversa e preveggente: la macchina dei controlli sugli allevamenti dipende dalla Sanità, oggi Welfare, ed è quindi al riparo dalle sirene del sistema agroalimentare, cioè ha come primo obiettivo la salubrità degli alimenti e non la redditività delle produzioni. La liberalizzazione dei commerci non induce ad allargare le maglie dei controlli?Non in Italia. La vecchia direzione generale competente è diventato un dipartimento, quello di Sanità pubblica veterinaria, nutrizione e sicurezza alimentare, composto da tre direzioni, e sono stati assunti sessanta veterinari che operano negli Uvac, uffici che hanno il compito di verificare quotidianamente come applichiamo le direttive Ue. Inoltre, è vero che sono spariti i dazi, ma non i posti di ispezione frontaliera, che sono proprio quelli che vigilano in queste ore affinché la carne di maiale contaminata non entri in Italia.Che idea si è fatto di questo caso?Si parla di macchinari per la produzione di mangimi che sarebbero stati contaminati con diossina per errore, avendo trattato precedentemente degli oli esausti. È un’ipotesi poco credibile, dati i valori di contaminazione riscontrati: fino a 290 parti per milione contro le 3 parti consentite. È possibile che qualcuno abbia tentato di alzare il valore proteico dei mangimi "addizionando" quegli oli, esattamente com’è stato fatto in Cina con la melamina. Se così fosse, sarebbe una truffa, e per di più grossolana, perché il sistema di autocontrollo è ferreo: l’allevatore sa cosa rischia; dal pacchetto igiene del 2006 in avanti ha la responsabilità totale di quel che produce e infatti la denuncia è arrivata dalla filiera, segno che l’autocontrollo ha funzionato. Di fronte a imprese che ricorrono a questi mezzi, come si fa a non avere paura?La paura è immotivata. Il sistema di autocontrollo e rintracciabilità, insieme ai controlli istituzionali, rende impossibile un nuovo caso mucca pazza o simili. Teniamo conto che anche la Bse fu un caso di psicosi collettiva e non un’emergenza reale, scientificamente parlando. Anche senza considerare il fatto che il legame tra la Bse e la variante umana non è stato dimostrato, il morbo di Creutzfeldt Jacob uccise 200 persone in dieci anni, mentre negli Usa muoiono in 40.000 ogni anno di meningite.Cosa insegna la crisi del maiale all’Europa?Che serve l’etichetta d’origine anche per queste carni. È uno strumento utile perché permette al consumatore di scegliere e, in momenti di incertezza come questo, rappresenta un ulteriore filtro di sicurezza.
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