sabato 21 settembre 2019
La requisitoria del pm: Stefano fu spinto a terra e colpito con un calcio in faccia, si ruppe due vertebre. Quella caduta fu fatale, perse sei chili in sei giorni
«Picchiavano Cucchi e ridevano»
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Fu «un pestaggio violentissimo da teppisti da stadio». Ceffoni, calci, spintoni. Altri calci in testa mentre era a terra. Così è stato picchiato Stefano Cucchi nella stazione Appia dei carabinieri. Tanto da fratturargli due vertebre e provocargli dolori tali da fargli perdere sei chili in sei giorni. Il pm Giovanni Musarò ricostruisce nella sua requisitoria l’aggressione brutale contro il giovane geometra romano, arrestato nel 2009 per spaccio e morto in solitudine all’ospedale Pertini. Forse anche perché - per errore e superficialità - fu registrato come «albanese e senza fissa dimora», con i dati di un altro arrestato. E il giudice che convalidò l’arresto gli negò i domiciliari. Se fosse tornato a casa, probabilmente sarebbe ancora vivo.

Nel procedimento bis – in corso nell’aula bunker di Rebibbia davanti alla prima Corte d’Assise – ci sono cinque militari: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco rispondono di omicidio preterintenzionale. Tedesco, uno dei due che hanno accusato i colleghi del pestaggio, risponde anche di falso nel verbale di arresto e di calunnia col maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti a capo della stazione dove avvenne l’arresto. Anche il carabiniere Vincenzo Nicolardi è accusato di calunnia contro gli agenti di polizia penitenziaria, accusati nel primo processo.

Secondo l’accusa, dopo il foto-segnalamento, cui Stefano si oppose, venne colpito con un ceffone da Di Bernardo. Poi calci, e spintoni che lo fecero cadere battendo la nuca e la schiena. E a terra un altro calcio: «Un pestaggio violentissimo contro una persona gracile», dice il pm, che gli provoca la frattura delle vertebre L3 e S4. Dell’episodio, ricorda l’accusa, D’Alessandro si vanterà in una conversazione: «Quante gliene abbiamo date, quello era solo un drogato di m...». Un altro testimone, Luigi Lainà, che incontrò Cucchi nel centro clinico di Regina Coeli, disse che «stava proprio acciaccato di brutto, gonfio come una zampogna sulla parte destra del volto. Mi ha mostrato la schiena: era uno scheletro, sembrava un cane bastonato, roba che neanche ad Auschwitz. Aveva il costato di colore verdognolo-giallo, come una melanzana. Gli ho chiesto se a ridurlo così fosse stato qualcuno della penitenziaria... rispose che erano stati i carabinieri che lo avevano arrestato... 'Si sono divertiti'».

Musarò ricorda che all’arresto Stefano Cucchi pesava solo 43 chili, quando morì addirittura 37. «Questo notevole calo ponderale è riconducibile al trauma dovuto al violento pestaggio. Non mangiava perché stava male». Il pm si scaglia anche contro il primo processo in cui vennero accusati (e assolti) tre agenti di polizia penitenziaria, mentre per i cinque medici del Pertini, dopo un’assoluzione e un ricorso, il reato è stato prescritto. «Non possiamo fare finta di non capire che quel processo kafkiano è stato frutto di un depistaggio messo in atto perché si stava giocando un’altra partita truccata».

Nel presunto depistaggio sono coinvolti altri otto carabinieri. La prima udienza a novembre. I militi, graduati e alti ufficiali, sono accusati di falso, omessa denuncia, calunnia e favoreggiamento. Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, non contiene la commozione: «Comunque vada, lo Stato è con noi. Mi piacerebbe che Stefano potesse aver sentito le parole del pm. Oggi sarebbe felice. E il mio pensiero va al procuratore Giuseppe Pignatone». Fu il capo della procura, oggi in pensione, a far aprire il secondo processo accogliendo le richieste della famiglia.

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