sabato 9 marzo 2024
Previsti 10mila metri cubi di acqua libera, con acquedotti e investimenti per 25 milioni. È l'ultimo tassello del progetto per permettere a 450.000 veneti di bere dal rubinetto in sicurezza
Un momento dell'inaugurazione del progetto ieri a Montagnana, nel Padovano, con Zaia

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Un serbatoio da 10mila metri cubi d’acqua libera da Pfas, 21 chilometri di nuovi acquedotti per portare acqua dal fiume Brenta e un esborso pari a 25 milioni di euro. L’opera, inaugurata ieri mattina, nella campagna di Montagnana, in provincia di Padova, rappresenta l’ultimo tassello del sistema che la Regione Veneto e le aziende del servizio idrico integrato (in questo caso Acque Venete) hanno realizzato per permettere ai 450mila veneti che vivono nel plume della contaminazione di bere in sicurezza l’acqua del rubinetto senza ricorrere ai filtri a carboni attivi.

Si completa, quindi, il Mosav (Modello strutturale degli acquedotti in Veneto), progetto datato 2000 ma fortemente modificato dopo l’impatto «di una della più grandi tragedie che abbiano colpito il Veneto», per stare alla definizione del presidente Luca Zaia. Allo scopo sono stati impiegati 80 milioni di euro messi a disposizione dal governo per realizzare un primo serbatoio nel Comune veronese di Belfore e altri 35 chilometri circa di tubature, una ventina dal Veronese al Vicentino a una quindicina da Recoaro Terme verso sud. Viene così aggirata la falda di Almisano (in Comune di Lonigo): è la più grande d’Europa, ma la sua acqua contaminata non è più utilizzabile.

«Oggi fissiamo un pilastro fondamentale della vicenda Pfas» ha aggiunto Zaia, parlando di «parola mantenuta» e ripetendo con forza l’impegno della Regione per far fronte all’emergenza, fin dalla prima denuncia all’autorità giudiziaria, tramite l’Arpav, datata 11 luglio 2013, a poche settimane dalla pubblicazione dello studio Cnr-Irsa che ha portato alla luce l’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche, prima sconosciute, nei bacini fluviali di numerose regioni italiane.

Il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin, intervenuto in collegamento da Roma, ha ringraziato le “mamme no Pfas”, nel giorno della festa della donna, per essere state stimolo e pungolo costante perché le opere venissero completate nel minor tempo possibile e ha annunciato che in Europa «siamo in dirittura finale per una direttiva comunitaria che mette al bando 24 sostanze appartenenti al gruppo dei Pfas (son 4.500 in tutto) che ha già avuto il via libera da Parlamento, Consiglio e Commissione europea».

Alla cerimonia non ha fatto mancare la sua presenza anche il vescovo di Padova, Claudio Cipolla, che, fin dal 2016, si è interessato al tema, partecipando, più volte, a incontri organizzati dalle stesse mamme attiviste. Prima di benedire l’opera, monsignor Cipolla ha sottolineato come «il rispetto del Creato debba essere un’acquisizione sempre più importante da fare nostra, perché è per il bene dell’uomo», da qui la necessità di misurare ogni iniziativa in termini non solo economici, ma anche sanitari.

«Dobbiamo prevenire ogni fonte di inquinamento e di distruzione della natura, con il sostegno di norme stringenti, che rappresentano un gesto politico molto importante per il bene dell’uomo e della società».

Dopo il completamento del Mosav, i filtri a carboni attivi rimarranno installati sui pozzi di emungimento, « per prevenire ogni altra minaccia», ha spiegato Nicola Dell’Acqua, commissario all’emergenza e nominato da Giorgia Meloni anche commissario per la siccità dello scorso anno. Cambierà la frequenza della loro sostituzione, che fino a oggi avveniva ogni 40 giorni per una spesa di un milione e mezzo all’anno su base regionale.

Oltre alle spese milionarie, delle quali si occupa il processo in corso al tribunale di Vicenza con imputati 15 manager Miteni e Mitsubishi, rimangono sul tappeto altre questioni centrali, come il filone sanitario per i cittadini, il cui sangue è contaminato, e il rischio connesso agli alimenti.

La battaglia dei comitati e delle mamme, quindi, non si ferma qui: « L’impegno e la costanza di noi mamme ha permesso di sensibilizzare le autorità e abbattere alcune iniziali barriere – hanno spiegato Laura Facciolo e Michela Zambon dei gruppi di Montagnana e Legnago -. Siamo andate a Venezia, a Roma e a Bruxelles, il problema riguarda tutti, non solo il Veneto, e va risolto con leggi mirate, comunitarie, che blocchino all’origine la produzione e l’utilizzo di queste molecole. Continueremo a vigilare su questo anche nei prossimi anni».

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