mercoledì 23 dicembre 2009
Berlusconi parla ai vertici Pdl: il Capo dello Stato può essere il garante del dialogo. Il premier via telefono per gli auguri e invita i pm a valutare la «gravità» del gesto: «Non può passare l’idea che si può colpire liberamente il primo ministro».
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«Ho perdonato subito Massimo Tartaglia... E poi voi lo sapete: io proprio non riesco a portare rancore...». Lo stato maggiore del Pdl, riunito nella sede romana di via dell’Umiltà, ascolta in silenzio Silvio Berlusconi collegato via telefono. «Sì, umanamente, l’ho perdonato... Ma non può passare l’idea che si può colpire liberamente il presidente del Consiglio... Il rischio è che altrimenti parta un tiro al bersaglio», riprende il premier tornando per cento secondi sull’aggressione a piazza Duomo. Sono passati nove giorni. Giorni duri. Di sofferenza. «Secondo la polizia scientifica, se quella statuetta lanciata con quella forza mi avesse colpito alla tempia o alla mandibola ora sarei sotto terra», confessa.E allora quel perdono sussurrato con la voce provata davanti ai big del Pdl assume un significato ancora più profondo. Perdono sì, ma il gesto di Tartaglia non può e non deve essere sottovalutato. E non può esserlo il proclama minaccioso scandito dal deputato "dipietrista" Francesco Barbato che prende la parola durante il sit-in di protesta degli operai Fiat di fronte a Palazzo Chigi: «Per ogni operaio della Fiat buttato fuori, la tiro io la statuetta in faccia a Berlusconi». In serata è Antonio Di Pietro in persona a sconfessare il suo deputato: «Non so se le sue frasi siano più ridicole che tragiche. Di certo non rispecchiano il pensiero dell’Idv. Barbato si scusi al più presto». Berlusconi continua però a chiedere una svolta vera. «A furia di gridare "a morte il tiranno" c’è chi ha cercato di uccidere il tiranno... Capite? L’aggressione è frutto del clima d’odio. È normale poi che c’è stato qualcuno che ha compiuto questo gesto...». Una pausa precede l’affermazione più forte. «Se poi a qualcuno riesce il colpo, allora diventa un eroe». Non c’è ancora un clima buono per una stagione del dialogo. Oggi però Berlusconi ha un alleato nel Quirinale. E proprio Giorgio Napolitano – azzarda il premier nelle conversazioni più private – può essere il garante di una stagione di riforme che sarebbe aperta da un’intesa sul lodo Alfano-bis costituzionale. Chi ascolta Berlusconi conosce gli obiettivi del premier e i sacrifici che è pronto a sopportare. Uno su tutti: mandare su un binario morto il processo breve. A fine gennaio c’è da superare la prima prova: il legittimo impedimento che sarebbe poi lo scudo per Berlusconi fino all’approvazione del ddl costituzionale su cui un big del Pd come Franco Marini ha già dato il "suo" via libera. Un sì che non è sfuggito al segretario del Pri Nucara: «Marini proponendo la costituzionalizzazione del lodo Alfano dimostra una grande sensibilità politica. Egli comprende il momento difficile e delicato del Paese e crediamo interpreti al meglio gli sforzi del capo dello Stato...». Intanto, è certo che il lodo Alfano verrà presentato a gennaio a Palazzo Madama dal gruppo del Pdl. Passerà? Berlusconi ci spera. E, intanto, avverte: «Abbiamo fatto sempre delle leggi necessarie. Mai ad personam ma ad iustitiam... In tutti questi anni c’è chi mi ha accusato di aver fatto interessi personali, io ho fatto sempre gli interessi del Paese». E un contributo al dialogo arriva da Pier Ferdinando Casini: il leader Udc è convinto che l’idea di pensare al premier come «nemico non può portare che guasti». Anche se, aggiunge, «da un male può nascere un bene», nel senso di far scattare la necessità di bloccare questa spirale
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