giovedì 15 dicembre 2011
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​Pensioni fino a 1400 euro salve per due anni. È questa la novità principale inserita dalle commissioni Finanze e Bilancio della Camera alla manovra, arrivata ieri all’esame dell’aula. L’adeguamento all’inflazione per tutti gli assegni fino al triplo del minimo Inps sarà assicurato quindi anche nel 2013 e non solo nel 2012 come sembrava fino a ieri. Restano scoperte le pensioni oltre la quota di 1404 euro mensili lordi. Il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua ha chiarito comunque che per stabilire la soglia «vale la somma degli assegni percepiti», cioè il reddito previdenziale totale (molti anziani hanno più di una rendita). Esclusi dal conto invece gli assegni di natura assistenziale, come l’invalidità. L’innalzamento dell’asticella dovrebbe salvare dal blocco della rivalutazione circa 12 milioni di pensionati, i tre quarti del totale. Saranno invece colpiti dal provvedimento oltre quattro milioni di persone. La prima versione dell’emendamento con la firma del governo prevedeva per il 2013 l’indicizzazione solo delle pensioni pari a due volte il minimo (936 euro). L’allentamento della stretta sul capitolo previdenziale riguarda anche altre misure e non solo gli assegni di chi è già a riposo. Per quanto riguarda la nuova disciplina per accedere alla pensione, si allarga la platea dei dipendenti di aziende in crisi che saranno esentati. I lavoratori in mobilità interessati saranno infatti 65.000 e non i 50.000 inizialmente previsti, salvaguardando così anche casi come quelli della Fiat di Termini Imerese e di Alenia. Sul fronte dei requisiti di uscita dal lavoro l’emendamento introduce anche altre deroghe, che alleggeriscono il «maxi-scalone» per l’accesso pensione previsto dal decreto, che in taluni casi (come i nati nel 1952) obbliga a un rinvio di 5-6 anni. I lavoratori del settore privato che maturano un’anzianità contributiva di almeno 35 anni entro fine 2012, con 60 anni di età, potranno andare in pensione a 64 anni invece che a 66. In base alle vecchie norme avrebbero potuto farlo a 62. Anche per le donne occupate nel privato c’è la possibilità di uscire sempre a 64 anni se entro il 31 dicembre 2012 raggiungono un’anzianità contributiva di almeno 20 anni, con un’età anagrafica di almeno 60 anni. In questo caso dovranno attendere 4 anni, il 2016, invece di 6.La regola generale del nuovo modello ha stabilito l’abolizione delle vecchie «quote» per l’anzianità. Dal 2012 gli uomini accederanno alla pensione di vecchiaia a partire dai 66 anni (successivamente incrementatati in base all’aumento della speranza di vita: tre mesi in più già dal 2013) oppure a 62 anni ma solo se hanno già raggiunto i 42 di contributi. Per quanto riguarda le donne del settore privato la riforma stabilisce una serie di scalini di innalzamento dell’età di uscita, oggi a 61 anni, che nel 2018 avrà così raggiunto lo stesso livello degli uomini (66-67 anni). Le uscite dei lavoratori prima dei 62 anni erano previste solo con una penalizzazione della pensione pari al 2% per ogni anno. È un punto questo che doveva essere corretto riducendo all’1% annuo la penalizzazione economica per i primi due anni di anticipo. L’ammorbidimento all’ultimo momento sembra invece saltato. Tra le altre novità emerse ieri, sale al 15% (dal 10%) sulla quota superiore a 200.000 euro il contributo di solidarietà sulle pensioni più alte. Mentre si prevede un aumento dei contributi pensionistici per gli artigiani e i commercianti: l’aliquota nel 2018 salirà al 24% anziché al 22%, come recitava il testo uscito da Palazzo Chigi.

Infine si conferma quanto emerso nei giorni scorsi sui pagamenti in contanti delle pensioni: la soglia massima sale da 500 a 1.000 euro per i pagamenti effettuati dalla pubblica amministrazione. Una modifica chiesta per tutelare quelle persone anziane che non hanno dimestichezza con l’uso di bancomat e carte elettroniche.

Le nuove correzioni al decreto vanno nella direzione sollecitata dai partiti che sostengono il governo ma non li soddisfano pienamente. A partire dal Pd che più soffre la mobilitazione dei sindacati. In ambito previdenziale il partito di Bersani ha presentato un emendamento per eliminare del tutto la penalizzazione per chi con 42 anni di lavoro esce prima dei 62 anni di età. «Si tratta di un inutile accanimento – ha spiegato l’ex ministro Cesare Damiano – verso lavoratori che essendo entrati precocemente al lavoro hanno svolto per lo più attività manuali e faticose nel corso della loro vita».

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