venerdì 26 agosto 2011
Per il gip ha messo in essere «numerosi e gravissimi» fatti di corruzione ma è intervenuta la prescrizione. In mattinata la decisione: «Mi autospospendo dal partito, ma ribadisco la mia estraneità ai fatti».
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"Ho deciso di autosospendermi dal Pd e di uscire dal gruppo consiliare regionale. Questo per non creare problemi e imbarazzi al Partito democratico". Ad affermarlo è Filippo Penati, dopo che il gip ha escluso il suo arresto, evidenziando però le sue gravi responsabilità nell'inchiesta sull'ex area Falck di Sesto San Giovanni. "Ribadisco - aggiunge Penati - la mia estraneità ai fatti che mi vengono contestati. Visti però gli sviluppi della vicenda che mi vede coinvolto intendo scindere nettamente la mia vicenda personale dalle questioni politiche per potermi difendere a tutto campo". E conclude "Il mio impegno, come ho detto dall'inizio della vicenda, resta quello di ristabilire la mia onorabilità e ridare serenità alla mia famiglia".PENATI SCHIVA L'ARRESTOPer il momento Filippo Penati è stato salvato dal calendario. Ma contro di lui, sostiene il gip di Monza che ieri ha ordinato l’arresto di due indagati nel caso Sesto San Giovanni, ci sono «gravi indizi di colpevolezza». È dimostrata «l’esistenza di numerosi e gravissimi fatti di corruzione» da lui «posti in essere», ma poiché gli episodi contestati arrivano «fino al 2004» deve essere dichiarata «l’intervenuta prescrizione del reato».La richiesta di arresto in carcere per l’esponente del Pd, che era stata formulata dai pm di Monza Franca Macchia e Walter Mapelli, nell’ambito dell’inchiesta su un giro di mazzette relative alla riqualificazione delle aree ex Falck e Marelli di Sesto San Giovanni, è stata respinta dal gip Anna Magelli. Per le stesse ragioni, anche la richiesta di misura cautelare in carcere per Giordano Vimercati, l’ex braccio destro di Penati è stata negata. È stata, invece, eseguita dai finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria di Milano l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per l’ex assessore all’edilizia del Comune di Sesto San Giovanni, Pasqualino Di Leva, e per l’architetto Marco Magni, entrambi accusati di corruzione.Quanto all’accusa di finanziamento illecito ai partiti, contestata a Penati dalla Procura di Monza, l’ipotesi è «incentrata su un solo elemento obiettivo», che riguarda il «pagamento della somma di 2 milioni di euro», elemento che «non è certo sufficiente» a far ritenere che quei soldi siano «effettivamente» confluiti «nelle casse del Partito Democratico».Gli imprenditori Piero Di Caterina e Giuseppe Pasini, oggi grandi accusatori dell’esponente politico, «quando hanno pagato le somme di denaro richieste loro da Penati hanno al più supposto ed ipotizzato che almeno parte delle stesse potessero confluire al partito», ma da loro non è poi arrivata alcuna dichiarazione ai pm «sufficientemente precisa e circostanziata». Peraltro agli atti non vi sono riscontri documentali a sostegno di questa ipotesi. Come dire che se davvero Penati ha preso dei soldi, lo ha fatto esclusivamente per se.Il costruttore Pasini, suo figlio Luca, nonché il genero Diego Cotti «indicano univocamente che il denaro pagato da Pasini in Lussemburgo era una parte – scrive il gip nell’ordinanza – della tangente che Penati aveva chiesto a Pasini per approvare il piano di riqualificazione dell’area ex Falck, che lo stesso Pasini aveva da poco rilevato dalla famiglia Falck».Nell’ordinanza emergono anche altri dettagli. L’imprenditore Di Caterina ha sostenuto di aver pagato a politici e amici vacanze e serate. «Avevamo fatto viaggi in Ucraina, Romania, Russia e Lituania. A loro pagavo il soggiorno, necessità varie, ristoranti e locali notturni».I rapporti tra Di Caterina e Penati (quest’ultimo ha respinto nuovamente ieri ogni accusa) vengono giudicati come basati su un sotteso ricatto. «Si evidenzia una continua disponibilità da parte di Penati a risolvere le questioni di Di Caterina». Il gip evidenzia che l’ex presidente della Provincia di Milano «evidentemente si sente costantemente in debito con Di Caterina e ne teme le rivelazioni».Fino ad esporsi personalmente, come quando telefonò al «sindaco di Cinisello al verosimile scopo di trovare una mediazione in ordine ai rapporti che detto Comune intratteneva ed evidentemente non voleva più intrattenere», con l’azienda di trasporti del Di Caterina. Nello Scavo
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