giovedì 8 settembre 2022
Il vescovo di Concordia-Pordenone racconta il suo ultimo viaggio alla missione attaccata da un gruppo di islamici. «Era un segno di speranza per i giovani. Continueremo a esserci»
Il vescovo Pellegrini in mezzo ai ragazzi della missione di Chipene (Mozambico). In primo piano Alex Zappalà, responsabile del Centro missionario diocesano di Pordenone

Il vescovo Pellegrini in mezzo ai ragazzi della missione di Chipene (Mozambico). In primo piano Alex Zappalà, responsabile del Centro missionario diocesano di Pordenone - Centro missionario diocesano di Concordia-Pordenone

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Ha ancora negli occhi i sorrisi e la gioia dei ragazzi del «Lar» della missione di Chipene in Mozambico incontrati a metà luglio, ecco perché per il vescovo di Concordia-Pordenone, Giuseppe Pellegrini, è davvero difficile raccontare le drammatiche notizie che l’hanno raggiunto ieri mattina alle sei. Il pensiero del presule va a suor Maria De Coppi, uccisa martedì sera durante l’attacco alla missione da parte di un gruppo armato di "ribelli", ma anche ai "suoi" due preti, don Lorenzo Barro e don Loris Vignadel, miracolosamente sfuggiti alla violenza dei terroristi. «Non oso immaginare cosa abbiano vissuto nelle tre ore in cui sono rimasti isolati, in attesa di una morte certa».

Eccellenza, lei ha visitato la missione di Chipene poche settimane fa, che ricordo ha di quel viaggio?

Non era il mio primo viaggio in Mozambico, dove siamo presenti da sei anni e dove mi sono recato assieme al responsabile del Centro missionario diocesano, Alex Zappalà. Anche questa volta sono stati giorni nel segno della festa, della gioia e dell’amicizia. Ad accoglierci nella missione, il primo giorno, è stato don Barro, che ci ha fatto visitare tutte le strutture della missione, incluso il nuovo "Lar", la scuola resa possibile dal sostegno e dall’aiuto di tante persone. Lì studiano ogni giorno una quarantina di ragazzi, che hanno così la possibilità di guardare al futuro con speranza.

In questo senso l’attacco alla missione può essere visto come un modo per colpire chi offre opportunità di crescita a un Paese in profonda crisi?

Certo, anche se la matrice non è ancora del tutto chiara, l’attacco rientra in una strategia che punta alla destabilizzazione di quella terra. La missione, tra l’altro, a giugno era già stata oggetto di alcune incursioni ai confini, sul fiume Lùrio, ma nessuno si sarebbe immaginato che questi gruppi sarebbero giunti a compiere un gesto così efferato arrivando fino al cuore della parrocchia e poi fino al vicino paese, dove hanno ucciso altre due persone.

Da dove nasce la collaborazione con la diocesi di Nacala?

Suor Maria De Coppi era la memoria storica della missione, fondata nel 1963 dai Combiniani. Era una persona che non esitava a spendersi fino in fondo per la comunità locale ed era rimasta lì, assieme ad altre religiose, nel 2016 quando i Comboniani hanno consegnato la missione alla diocesi di Nacala, la quale ci ha chiesto un aiuto. Da qui nasce la presenza a Chipene di don Vignadel e don Barro; quest’ultimo tra l’altro ora è anche vicario generale della diocesi, un incarico che rende ancora più forte il legame tra le nostre diocesi.

A luglio che clima ha trovato alla missione?

Nei riti, nelle celebrazioni e nei momenti d’incontro era evidente il volto di una comunità viva, partecipata e organizzata. Un momento di grande partecipazione, ad esempio, è stata la benedizione della nuova statua della Madonna di Fatima collocata all’interno di un baobab all’ingresso della missione. E poi non è mancato il cordiale incontro con il vescovo di Nacala, Alberto Vera Aréjula, che guida la diocesi dal 2018.

Come si fa a dare un senso a eventi così drammatici?

La strada per elaborare questi fatti ce la dà lo stesso Gesù nel Vangelo, quando ci dice: "Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi". Chi parte per la missione sa che è un’opera preziosa, che però può portare al martirio, a versare il proprio sangue. Ma i missionari sanno anche che la missione è uno dei modi per partecipare all’opera di salvezza dell’umanità compiuta da Gesù. Insomma, è un modo per testimoniare al mondo l’amore di Dio per noi.

Cosa pensate di fare ora?

Anche se in questo momento per sicurezza abbiamo dovuto "ritirarci", questi fatti non interromperanno la collaborazione missionaria con il Mozambico. Il desiderio di tutti è quello di non abbandonare gli abitanti di quella terra e i tanti cristiani impegnati di Chipene, in questo frangente in cui hanno ancora più bisogno di una testimonianza di speranza.

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