mercoledì 26 aprile 2023
Dopo l'omicidio della psichiatra Barbara Capovani, uccisa da una malato di mente, parla il magistrato Cristina Ornano: trattamenti inadeguati per chi è malato
Striscioni per la dottoressa Barbara Capovani, che però non ce l'ha fatta ed è morta in ospedale dopo essere stata aggredita, a Pisa, da un suo ex paziente

Striscioni per la dottoressa Barbara Capovani, che però non ce l'ha fatta ed è morta in ospedale dopo essere stata aggredita, a Pisa, da un suo ex paziente - Fotogramma

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Oggi al ministero della Salute è prevista la riunione per la riorganizzazione del tavolo sulla psichiatria, voluta dal ministro Orazio Schillaci. Nel carcere di Pisa è in programma l’interrogatorio di garanzia per Gianluca Paul Seung, accusato dell’omicidio della psichiatra Barbara Capovani. Da Torre del Lago (Lucca), dove Seung vive con la madre, la zia si rivolge ai parenti della vittima: «Voglio chiedere scusa a questa famiglia. Ma è solo Dio che ci può far qualcosa. Sono una mamma e lei aveva tre figli. Siete nelle mie preghiere ragazzi». I compaesani non si stupiscono troppo della tragica vicenda: Seung appariva un eccentrico, diventato sempre più aggressivo.


«L’omicidio della psichiatra Barbara Capovani ripropone tragicamente la questione della grave inadeguatezza del trattamento riservato sia in ambito civile, sia penale ai malati psichiatrici, perfino in presenza di loro azioni violente...». Magistrata di lungo corso, Cristina Ornano è presidente del Tribunale di sorveglianza di Cagliari. Ciò che è accaduto a Pisa l’ha lasciata addolorata e sgomenta, inducendola ad alcune riflessioni sull’urgenza di un’azione del Parlamento e del Governo: «Mi riferisco - dice ad Avvenire - a interventi tempestivi a tutela dei pazienti psichiatrici, che consentirebbero in tanti casi la cura del paziente e la prevenzione della reiterazione delle condotte lesive e della loro progressione verso fatti di maggiore rilevanza penale in danno dei familiari e degli operatori sanitari, ormai sempre più soli ed esposti alla violenza».

Oggi, lei lamenta, l’abbandono terapeutico dei malati finisce per ribaltarsi sul sistema penale.
Purtroppo sì. E il tema ormai costantemente presente nelle aule giudiziarie è quello della sorte degli autori di gravi reati, dichiarati incapaci a causa della loro infermità mentale. Se le ipotesi di accusa a carico dell’ex paziente della dottoressa Capovani fossero confermate, è il nodo con cui in futuro dovremo fare i conti. E qui la soluzione, paradossalmente, si complica.

Perché, presidente Ornano?
Intanto, va ricordato che 8 anni fa, nell’aprile 2015, sono stati chiusi gli Ospedali psichiatrici giudiziari. Ora, l’irretrattabilità di tale scelta non può essere il pretesto per non fare i conti con la realtà e per evitare l’adozione, da parte del Governo e del Parlamento, di soluzioni ormai improcrastinabili.

Quali?
Nei fatti, il sistema è oggi caratterizzato da una situazione di gravissima illegalità, che alimenta insicurezza. Accade, infatti, che dal 2015 la misura di sicurezza detentiva - applicata ai soli infermi di mente giudicati incapaci , autori di gravi reati e a elevato rischio di recidiva - si possa eseguire solo nelle Rems, ossia le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, strutture sanitarie pubbliche regionali. Ma ognuna non può superare i 20 posti letto, deve assicurare l’adeguata intensità terapeutica del trattamento e la vigilanza perimetrale, affidata a vigilantes privati. Ciò comporta costi elevati, sicché in molte regioni esiste una sola Rems. E si registra costantemente il tutto esaurito.

E chi non trova posto?
Viene inserito in una lista d’attesa, gestita dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Una lista lunga?
Già. Per accedere occorrono in genere mesi, quando non anni. E ciò a prescindere dalla gravità, perché il criterio spesso è la data di inserimento. Nel 2021, la Corte Costituzionale, in una indagine istruttoria sulle Rems svolta nel 2021, ha accertato che in quel momento tra 670 e 750 persone stavano in lista, con un tempo d’attesa medio di 10 mesi. E ha affermato poi, in una sentenza del gennaio 2022 , che la lista non era la conseguenza di una non corretta applicazione della disciplina da parte dei giudici, ma di un sistema connotato da profili di gravissima incostituzionalità, tali da richiedere un intervento urgentissimo di Parlamento e Governo.
E quell’intervento è arrivato? No. A distanza di oltre un anno da quella pronuncia, non si intravedono segnali di sorta.

E intanto cosa sta avvenendo?
Di tutto. Tra le persone in lista d’attesa, molte sono recluse in carcere, sebbene versino in una condizione di incapacità totale del tutto incompatibile con la detenzione. Altre, invece, sono libere, in attesa del loro turno, spesso senza cura e senza alcun controllo. Non solo: la stessa applicazione della libertà vigilata con la prescrizione di cura , unica misura di sicurezza alternativa prevista, presuppone una volontaria adesione al programma terapeutico riabilitativo che spesso non c’è, perché si tratta in genere di soggetti non hanno coscienza di essere malati. Per di più, in caso di violazione della libertà vigilata, l’unica strada è quella dell’aggravamento in Rems, che porta a rimbalzare, ancora una volta, sul muro della lista d’attesa.

Un beffardo circolo vizioso, dunque. Cosa si può fare?
Non si può, e non si deve, tornare al passato, agli Opg. Ma neppure si può usarlo come argomento per giustificare l’inerzia di Parlamento e Governo nella ricerca di soluzioni. A una riforma delle misure di sicurezza nel solco indicato dalla Consulta, si potrebbe accompagnare la realizzazione di nuove strutture.

E, nel frattempo, come si potrebbe evitare il ripetersi di casi come quello di Pisa?
Nell’attesa, forse si potrebbe autorizzare con legge l’accreditamento di strutture private in convenzione, che assicurino standard e requisiti sotto il profilo terapeutico riabilitativo e della sicurezza, riservando alle Rems solo i casi più gravi. Sarebbe un ripiego, ma comunque meglio del vuoto attuale di tutela, che priva i malati psichiatrici delle cure di cui hanno diritto. Ed espone al rischio di atti violenti la società, ad iniziare dai familiari e dai medici e dal personale dei servizi psichiatrici.

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