giovedì 30 giugno 2011
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Dopo anni di crescita incontrastata diminuisce anche in Italia la produzione di rifiuti. Ma veramente di poco. Ed è frutto quasi solo della crisi economica: meno soldi, meno consumi, meno scarti. Gli ultimi dati disponibili (Rapporto 2010 dell’Ispra) sono relativi al 2008 e riferiscono di un calo dello 0,22%. Il totale dei rifiuti solidi urbani (la "monnezza") è di 32,5 milioni di tonnellate, con una media pro capite che passa da 546 kg e 541.Ma come sempre le medie non dicono tutto. Così, sempre l’Ispra segnala che nelle grandi città si continua a consumare di più e quindi a produrre più rifiuti. Nelle 48 città in esame la media nazionale è superata di 79 kg, arrivando a una produzione annua di 620 kg, mentre solo 11 città restano al di sotto della media nazionale. Gli aumenti più significativi a Campobasso (+7,3%), Modena (+7%), Forlì e Napoli (+6,2%). E quest’ultimo dato la dice lunga sulle difficoltà nella gestione dei rifiuti nel capoluogo campano. Che, invece, non sia impossibile un forte calo lo dimostrano Potenza (-19%), Terni (-11,4%) e Catania (-10,4%). Mentre si attestano tra il 2 e il 7% in meno Ancona, Cagliari, Messina, Torino, Reggio Calabria e Salerno.Una situazione a macchia di leopardo. Ma sostanzialmente negativa. Frutto, soprattutto, di politiche di riduzione scarse o assenti. Basti il raffronto con la Germania, dove una legge di metà anni 90, ha previsto la responsabilità dei produttori di imballaggi. In pratica «chi produce imballaggi più grandi paga di più». E questo ha ridotto di molto i rifiuti alla fonte. Inoltre un’altra norma, con l’introduzione della tariffazione per le famiglie, ha spinto i cittadini a ridurre i propri rifiuti e a differenziarli al massimo, secondo il principio «più rifiuti indifferenziati porti e più paghi». Tutto questo ha prodotto una riduzione negli ultimi sette anni del 12%.Fondamentale all’interno dei rifiuti la presenza, sempre più ingombrante, degli imballaggi, che rappresentano il 35% in peso e il 50% in volume del totale dei rifiuti prodotti. La responsabilità dei cittadini è forte. Infatti il consumo domestico di imballaggi ammonta a circa 2 milioni di tonnellate all’anno: vetro, plastica e cartone rappresentano l’80%. In pratica ogni italiano consuma 34 kg di imballaggi l’anno, cifra che si raddoppia se si considerano anche i consumi fuori casa. Per fortuna, grazie all’efficiente lavoro del Conai, il Consorzio nazionale imballaggi, costituito dai produttori e utilizzatori di imballaggi, si è riusciti ad arrivare a un recupero del 67% e a un 57% di riciclo. Il tutto, ovviamente, ha un costo. E, avverte proprio il Conai, «dopo il drastico calo registrato nel 2009 per effetto della crisi», il consumo di imballaggi dovrebbe risalire a 11 milioni di tonnellate, con un incremento del 3,1%.In Italia l’unico intervento drastico per ridurre i rifiuti e, in particolare, gli imballaggi è il recente divieto dei sacchetti di plastica per la spesa. Fermo al palo è, invece, il passaggio dalla tassa alla tariffa (come in Gemania) che incentiverebbe i cittadini a produrre meno rifiuti. Il decreto Ronchi prevedeva l’introduzione della Tia al posto della Tarsu dal 1° gennaio 2000, ma governi e parlamenti di diversi colori hanno continuamente prorogato questa scadenza. Così attualmente solo mille comuni sono passati alla Tia ma appena la metà la applica in maniera puntuale, cioè facendo pagare di più chi produce più rifiuti e non li ricicla. Si segnalano, invece, iniziative di alcuni gruppi della grande distribuzione, come Coop, Auchan, Carrefour, che hanno ridotto autonomamente (anche per loro è un risparmio...) gli imballaggi dei prodotti a proprio marchio e promosso la vendita di prodotti alla spina come pasta, riso, legumi e detersivi. Ma si tratta di iniziative private. Come quelle di alcune virtuose amministrazioni locali, di cui parleremo nei prossimi giorni.
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