giovedì 21 luglio 2011
Drammatica votazione a Montecitorio: 319 sì all'arresto. E l'Esecutivo ora vacilla. Una trentina di leghisti votano insieme alle opposizioni: nonostante il voto segreto le previsioni della vigilia si ribaltano.
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C'è un silenzio surreale, carico di attesa, in aula e nel Transatlantico gremito di cronisti, mentre il presidente della Camera Gianfranco Fini attende il completamento del voto che deciderà sull’arresto di Alfonso Papa. E il verdetto, sfavorevole di misura (319 sì, 293 no) al deputato del Pdl, viene accolto con lo stesso pensoso silenzio. Né un applauso né un grido né una protesta. Il premier Silvio Berlusconi, seduto al centro del banco del governo, batte la mano sul tavolo in segno di forte disappunto. Qualche decina di minuti prima, entrando in aula, aveva detto di confidare nell’esito positivo della votazione. I deputati del Pdl escono dall’emiciclo scuri in volto. Ignazio La Russa, di solito molto loquace, dribbla i giornalisti e s’infila nei corridoi laterali. Anna Maria Bernini allarga le braccia: ha le occhiaie scavate, sembra quasi che abbia pianto. Parla solo il capogruppo Fabrizio Cicchitto, sibilando: «Un voto liberticida». E, poi, pressato dalla stampa aggiunge: «Il Parlamento ha scritto una delle pagine più brutte della sua storia. La responsabilità che Pd e Udc si sono caricati è pesantissima». Non una parola per il «tradimento» della Lega. La mazzata è stata forse troppo forte e così Cicchitto rimanda la sua valutazione. Cos’è dunque successo da ribaltare un pronostico in modo così radicale? Complice forse il meccanismo di palesamento del voto segreto, escogitato dal capogruppo dell’Idv Massimo Donadi e fatto proprio dal Pd e da buona parte della Lega – votando con la mano sinistra invece che con la destra era praticamente impossibile premere di nascosto il tasto del "no" – trenta voti della maggioranza di governo si sono andati a sommare a quelli delle opposizioni, che hanno votato compatte per il sì alle misure cautelari nei confronti del deputato napoletano. E in Transatlantico subito sono partiti i conteggi. Certo è che l’atteggiamento di parte dei leghisti – secondo molti riconducibili al ministro dell’Interno Bobo Maroni, che dall’aula si è platealmente rivolto ai giornalisti in tribuna, rimarcando il fatto di votare con la sinistra – è stato decisivo sopra ogni cosa. Perfino il capogruppo Marco Reguzzoni, che in aula si era lanciato in una appassionata difesa del voto di coscienza, ha detto di aver votato sì all’arresto. E, come riprova, si è  fotografato la mano al momento di pigiare il tasto con il cellulare, poi l’ha mostrata a tutti in Transatlantico. È stato proprio questo atteggiamento bivalente della Lega, possibilista in aula e implacabile nel voto, a segnare i commenti successivi al voto. Preoccupati all’interno del Pdl, dove si temono contraccolpi gravi sul governo. Interessati tra le opposizioni, dove si mette in evidenza il ruolo di Maroni e quella che viene definita «la faida interna» all’ex monolite leghista. I voti dicono molto, ma non tutto. La partita, in aula, si è giocata quasi tutta sul voto segreto. Inutilmente. Il Pdl, infatti, contava che nel segreto dell’urna la Lega avrebbe alla fine "salvato" Papa e confidava anche in qualche voto da parte di aree "garantiste" dell’opposizione. Il voto segreto era stato chiesto dal presidente del gruppo degli ex responsabili, Moffa. E appoggiato dal pidiellino Pepe, per raggiungere la quota di 30 necessaria per appoggiare la richiesta. Poco prima del voto, Pier Ferdinando Casini e Dario Franceschini avevano sfidato la maggioranza a rinunciare al voto segreto: proposta respinta in maniera decisa da Cicchitto e Reguzzoni. Sembrava, dunque, il segnale decisivo per evitare a Papa l’onta dell’arresto. Ma così non è stato. Nel dibattito prima del voto si erano confrontate due tendenze: quella garantista del Pdl e quella preoccupata di non dare l’idea della classe politica che si trincera dietro a privilegi non concessi ai comuni cittadini. Maurizio Paniz (Pdl) aveva sostenuto: «Privare ora Papa della libertà è un eccesso. Votando no all’arresto non difendiamo un privilegio, ma solo il rispetto di un diritto sacrosanto». Mentre per Marilena Samperi (Pd) il rispetto dovuto «visto che non esiste il fumus persecutionis» è quello ai giudici che svolgono le inchieste. Sfiorata infine la rissa in Transatlantico tra un esponente dell’Udc, Angelo Cera, e il collega del Pd Enzo D’Anna, trascinati via prima che dalle parole si passasse ai fatti.
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