venerdì 24 marzo 2017
Gloria Manzelli che dirige la casa circondariale a Milano: «Il Papa venendo qui ci ricorda la sua attenzione l'essere umano, in qualunque condizione si trovi. Di questo lo ringrazierò»
Gloria Manzelli (Ansa)

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«Papa Francesco viene a trovare gli uomini e le donne che popolano questo quartiere di Milano». «Quartiere». Ripete la parola più volte Gloria Manzelli a proposito del carcere che dirige, da 13 anni: San Vittore. «Già è un quartiere. Il penitenziario è parte integrante del tessuto sociale della città. E come tale va considerato. Anche se spesso ce ne dimentichiamo... Il Pontefice viene a ricordarcelo». Bergoglio ha voluto fortemente includere la più antica prigione ambrosiana nella “maratona” di appuntamenti odierni. E oggi sarà il primo Papa a varcare la soglia di San Vittore.


Un bel regalo dottoressa Manzelli...
È una grande emozione, davvero. Il gesto di Francesco è un riconoscimento dell’umanità che c’è qui dentro. E del suo bisogno urgente e forte di incontro. Il Papa dimostra, ancora una volta, la sua straordinaria attenzione all'essere umano, in qualunque condizione si trovi.

O in qualunque periferia. Anche quando è nascosta nel cuore della città.
San Vittore si trova in pieno centro. Eppure spesso risulta invisibile agli occhi dell’opinione pubblica. Lo sguardo si ferma alle sbarre, senza interrogarsi su chi si trova dall'altra parte. In questi anni, il carcere è diventato un grande contenitore sociale poiché i problemi non sono intercettati all'esterno. Con un buon lavoro all'interno, però, è realmente possibile aiutare i reclusi a reintegrarsi nella società, una volta terminata la pena. Certo, è necessario il sostegno del tessuto sociale e della rete istituzionale e territoriale perché ciò abbia un senso di lungo periodo. Altrimenti la prigione diventa solo un “tampone”. Per questo ripeto: San Vittore non è un’entità a se stante. È parte integrante della città. È un quartiere.

Che tipo di lavoro fate in tal senso?
Dal 2005, San Vittore si è trasformata in casa circondariale “pura”. Vi vengono accolti i detenuti in attesa di giudizio. Questo ha prodotto una piccola-grande “rivoluzione” all'interno: dobbiamo essere operativi h 24. Gran parte del nostro lavoro è volta ad aiutare il nuovo arrivato affinché superi il trauma di incarcerazione. Per tanti è la prima volta. E molti reclusi arrivano sempre più da percorsi di vita problematici. A tal fine abbiamo una serie di programmi di sostegno, portati avanti da operatori e psicologi. Oltre a un centro clinico dotato di polo psichiatrico. Ci sono poi i laboratori e i programmi portati avanti dai volontari: ogni anno, ne entrano a migliaia. I nostri “vicini” – i penitenziari di Opera e Bollate –, in cui i reclusi scontano la pena, si concentrano maggiormente sul percorso di reinserimento.

Quali saranno i momenti clou della visita del Pontefice?
Tutti i carcerati, indipendentemente dalla religione professata, hanno chiesto di partecipare e li abbiamo accontentati. Il percorso tra i vari raggi è stato pensato in modo che Francesco possa incontrare l’intero “popolo di San Vittore”: i circa 860 detenuti, inclusi i “protetti” (quanti, per la natura del crimine di cui sono accusati e che potrebbe generare rappresaglie dagli altri, sono tenuti in una sezione a parte, ndr) ma anche i 400 agenti e una delegazione dei volontari. Il Papa, poi, pranzerà con cento reclusi, scelti in modo da rappresentare il carattere multiculturale e multietnico di San Vittore. Il 67 per cento dei detenuti è straniero. A tavola, dunque, ci saranno tutte le nazionalità e le fedi che popolano la struttura.

Che cosa dirà al Papa?
Grazie. Grazie. Grazie.

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