mercoledì 23 febbraio 2011
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Secondo la Corte dei Conti «la corruzione è in aumento in Italia», specialmente nelle pubbliche amministrazioni. D’altronde, negli ultimi giorni bastava sfogliare un qualsiasi quotidiano per trovarvi pagine e pagine dedicate (oltre che a fenomeni di malcostume generalizzati) a veri e propri reati contro l’amministrazione centrale dello Stato: dall’"affittopoli" milanese, alla "parentopoli" romana, al "Cinzia-gate" bolognese. Nel suo ultimo rapporto annuale, Transparency International pone l’Italia al 67simo posto (dietro il Ruanda e appena un gradino dopo la Georgia) tra i 178 Paesi censiti; lo scorso anno c’è stata addirittura una retrocessione poiché nel 2009 eravamo al 63simo posto. L’indicatore di Transparency International – per quanto basato su una metodologia discutibile: si dà infatti gran rilievo all’informazione giornalistica sui presunti casi di corruzione – ha tuttavia una notevole importanza in quanto è sovente utilizzato da manager, imprenditori , uomini d’affari per "percepire" la corruzione di un Paese. E tale "percezione" spiega in buona parte perché l’Italia sia una delle nazioni che meno attrae investimenti dall’estero. All’ultima conta del novembre 2010, gli investimenti diretti dall’estero rappresentano il 18,6% del Pil in Italia, contro il 21% della Germania, il 42,8% della Francia, il 45,9% della Spagna e il 51,7% del Regno Unito. La media mondiale è pari al 30,7% e, secondo il World Economic Forum, noi siamo al 48° posto come capacità di attrazione Non solo, nel libro che più di altre ricerche gli è valso il Premio Nobel per l’Economia nel 1991 – «Institutions, Institutional Change, Economic Performance» – Douglas C. North individua negli alti «costi di transazione» (cioè quei balzelli impliciti o espliciti per effettuare una transazione economica) causati dalla corruzione il freno principale allo sviluppo di Paesi e la determinante principale del declino di quelli già ad alto reddito. In breve, quale che sarà la "frustata" all’economia di cui si parla in queste settimane, non arresteremo il declino se non cominceremo a curare seriamente la corruzione.Il quadro poi peggiora se dalle classifiche mondiali di passa a quelle europee. Secondo uno studio comparato condotto dalla Università di Göterburg per conto della Commissione Europea, sui 27 Stati dell’UE l’Italia si colloca al 25simo posto, seguita soltanto da Bulgaria e Romania. L’analisi è stata effettuata seguendo un metodo differente da quello utilizzato da Transparency International. Nel periodo dicembre 2009 - febbraio 2010 sono stati contattati 200 alti funzionari per ogni Stato membro dell’UE e 34.000 cittadini europei (4.095 in Italia) ed è stato somministrato loro un questionario su tre grandi aree di governo della cosa pubblica – istruzione, sanità, giustizia – per costruire "indici" non solo nazionali ma anche regionali. La Commissione UE afferma, un po’ pomposamente, che si tratta della «più corposa ricerca (su questo tema, ndr) mai realizzata al mondo». Dagli indici regionali si ricava che in Italia coesistono regioni (geografiche oltre che amministrative) tra le più virtuose d’Europa (Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta) e tra le più corrotte del continente (Campania e Calabria). Ad esempio, secondo la ricerca, mentre per le assunzioni del settore pubblico allargato alle municipalizzate, nelle prime due regioni conta la meritocrazia accertata tramite concorsi asettici, nelle altre due fanno premio «i rapporti interpersonali».È utile ricordare che, guardando unicamente all’Italia ma utilizzando un metodo di ricerca allora pioneristico (e che lo ha impegnato per quasi un quarto di secolo), circa trent’anni fa Robert Putman dell’Università di Harvard era arrivato a conclusioni analoghe nel libro «Making democracy work: civic traditions in modern Italy» pubblicato dalla Princeton University Press e considerato ormai un classico.
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