venerdì 10 febbraio 2023
Acli e Arci raccolgono l’invito al cessate il fuoco lanciato da “Avvenire”: la diplomazia torni al centro
Bandiere della Acli

Bandiere della Acli - Siciliani

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Non è come l’Iraq, è molto peggio. Il conflitto in Ucraina, provocato dall’aggressione russa, preoccupa l’opinione pubblica, italiana ed europea, che non vuole rassegnarsi allo scenario di una guerra lunga. Al momento, è più una reazione al senso di assuefazione e ineluttabilità verso bombe e scontri bellici, mentre sullo sfondo resta senza risposte la domanda di pace. Eppure, chi ha animato la grande manifestazione di Roma del 5 novembre scorso è convinto che ora anche la classe dirigente, cioè la politica, stia prendendo atto che il clima è mutato.

«Oggi rispetto ad allora è un altro mondo – riflette Walter Massa, presidente dell’Arci – e, se sono cambiate le forme di protesta, è rimasto uguale il sentimento di opposizione alla guerra. L’Italia è per la pace. Per questo l’appello pubblicato da Avvenire per un immediato cessate il fuoco va sottoscritto e rilanciato. In queste ultime settimane, dagli incontri che abbiamo avuto con esponenti del mondo politico, abbiamo notato anche una presa di coscienza crescente da parte di molti parlamentari, più che dei partiti, pronti a muoversi singolarmente contro il prossimo invio di armi in Ucraina e non solo».

Dopo il caso di Paolo Ciani di Demos, che ha votato in modo contrario rispetto al gruppo dei democratici e progressisti sull’Ucraina, si aspettano insomma altri segnali da deputati e senatori, «anche perché la china presa con le armi è oggettivamente pericolosa» aggiunge Massa. La pensa allo stesso modo anche Antonio Russo, vicepresidente delle Acli, che si è molto spesa per la mobilitazione pacifista dell’autunno scorso. «Le parole del manifesto sul cessate il fuoco sono di assoluto buon senso – spiega Russo -. La situazione è peggiorata, deve esserci quanto prima un ritorno alla diplomazia, come chiede il Papa».

Febbraio è peraltro mese di anniversari e di esami di coscienza: il 15 saranno vent’anni dalla protesta globale in 600 città per il conflitto scatenato dagli Usa contro Saddam Hussein, il 24 saranno invece passati dodici mesi dall’annuncio dell’”operazione militare speciale” voluta da Vladimir Putin. In agenda, la società civile ha due appuntamenti su tutti: il primo è la marcia straordinaria, in notturna, Perugia-Assisi, tra la mezzanotte del 23 e le prime ore del 24, un anno dopo l’offensiva del Cremlino. «Ci saremo, come sempre, per illuminare con le nostre fiaccole il buio di questa fase storica - osserva il vicepresidente delle Acli -. Dopo l’evento di Roma, la riflessione dei nostri circoli non si è mai fermata e ha messo insieme figure storiche della nostra associazione e giovani con un’alta sensibilità su questi temi».

Successivamente, l’impegno continuerà con la tre giorni di iniziative organizzata da Europe for peace, il cartello che ha riunito centinaia di sigle nel novembre scorso e tornerà ad animare piazze e strade d’Italia dal 24 al 26 febbraio. Bisognerà tradurre in presenze e in proposte, dunque, le istanze non violente che arrivano da questo popolo. Nel frattempo, sono l’Europa e le Nazioni Unite i soggetti destinatari delle attenzioni della società civile no war. «L’Onu è fragile, non lo scopriamo certo oggi. L’obiettivo deve essere in ogni caso quello di portare le due parti a fermarsi e a sedersi intorno a un tavolo. E poi non pensiamo solo a Kiev e Mosca - ripete Russo -. Ci stanno a cuore tante guerre dimenticate, che non sono meno importanti di quella che si sta svolgendo alle porte del Vecchio continente».

Per il presidente dell’Arci, Massa, quel che abbiamo visto anche in questi giorni a Bruxelles conferma che «l’Unione europea sul piano politico è frammentata e divisa e sembra ricompattarsi a fatica solo sulle armi, quando servirebbe ben altro. In questo senso Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha ragione: non siamo mai stati così vicini a una guerra nucleare».

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