È scontro aperto tra il ministro della Giustizia Angelino Alfano e la procura di Napoli che indaga sulla cosidetta "P4". Mentre il Comitato parlamentare di vigilanza sui servizi segreti ha chiesto ai pm partenopei di acquisire gli atti che riguardano alti funzionari dei servizi di informazione, generali e prefetti, coinvolti nella rete di contatti di Luigi Bisignani. Alfano, ieri mattina, parlando a una tavola rotonda, si è lasciato infatti andare a giudizi piuttosto duri sull’inchiesta in corso, negandole rilevanza penale. «Tutte queste intercettazioni che leggiamo e che sono anche divertenti ma che non hanno niente di penalmente rilevante non sono gratis per il sistema. Anzi – ha aggiunto il ministro – il debito accertato nei confronti delle ditte e degli operatori telefonici è di un miliardo di euro». «Sono intercettazioni usate senza alcuna prudenza – ha concluso Alfano – e, se irrilevanti, vanno distrutte».La risposta dei magistrati non si è fatta attendere. Il pm Woodcock, uno dei titolari dell’inchiesta, si è limitato a ricordare che le sue decisioni sono state convalidate da altri magistrati: «Io non parlo. Parlano gli atti processuali, che sono stati già esaminati da un giudice e che saranno esaminati da altri giudici». Ma in campo, in difesa dei suoi uomini, è sceso il capo della procura napoletana Giandomenico Lepore, che replica direttamente al ministro Guardasigilli: «La rilevanza o meno delle intercettazioni va valutata dal magistrato requirente e dal giudice giudicante, cosa che è regolarmente avvenuta». Lepore ha spiegato che la procura era obbligata a depositare gli atti, per farli conoscere alla difesa. E quanto ai costi ha aggiunto: «Nulla è gratis, ma se i soldi non ci sono, il governo le vieti. La crisi non può bloccare il lavoro dei magistrati». Il procuratore di Napoli ha aggiunto: «Mi dispiace per gli attacchi fatti ai colleghi, che sono tra i più validi della procura: l’inchiesta è robusta. Greco, Curcio e Woodcock non amano fare processi solo per avere pubblicità. Il loro obiettivo è accertare la responsabilità penale di chi commette reati. Senza guardare in faccia a nessuno». Il procuratore ha raccontato di aver seguito personalmente le varie fasi dell’inchiesta: «Sono stato sempre informato delle iniziative intraprese e le ho condivise tutte. Ci siamo riuniti molte volte per concordare il da farsi e tra noi c’è stato sempre accordo pieno». Poi, a proposito delle intercettazioni finite sui giornali, ha detto: «Non credevo che si desse tanta enfasi al gossip. Io, al posto di voi giornalisti, mi soffermerei di più sugli illeciti commessi». Intanto continuano ad arrivare particolari sull’inchiesta. Tra questi, l’«Espresso» ha rivelato che i giudici napoletani hanno inviato alla procura di Milano (che non le ha ancora ricevute) carte riguardanti un altro possibile filone di indagine sul rapporto tra Alfonso Papa e l’immobiliarista Vittorio Casale sia su eventuali affari tra Bisignani e Gianluca Di Nardo. Il ministro Raffaele Fitto ribadisce che lui, con Bisignani, non ha mai avuto a che fare. Poi arriva la smentita di un giudice della Corte Costituzionale, Giorgio Lattanzi, che smentisce la sua partecipazione a una cena con Bisignani e Gianni Letta, ricordando solo l’amicizia del primo con il proprio figlio. Il sottosegretario alla presidenza aveva già smentito. L’indagine si sofferma anche su Marco Simeon, direttore delle relazioni istituzionali e internazionali della Rai e della struttura Rai-Vaticano, a proposito di una presunta telefonata con monsignor Viale per una casa di proprietà di Propaganda Fide da far vedere a Bisignani. Poi ci sono i commenti tra Bisignani e Briatore sulla vicenda della sentenza Thyssen e il rischio che imprenditori stranieri non investissero più in Italia, nonché il faldone dedicato alla Rai e quelli tra l’ex esponente dc Paolo Cirino Pomicino e sempre Bisignani sul futuro del Pdl e dopo lo strappo di Fini. L’inchiesta sfiora la Telecom-Italia dei tempi di Tronchetti Provera (ascoltato l’ex addetto alla sicurezza Tavaroli, che ha parlato di Bisignani come di nemico del management) e tocca anche il consulente e amico di Romano Prodi Angelo Rovati. Prodi, secondo il consulente informatico Gioacchino Genchi, sarebbe stato spiato da qualcuno dei suoi sostenitori. E arriva anche il grido di dolore del ministro Brambilla, di cui si parla in una conversazione telefonica tra Bisignani e il figlio in termini terribilmente offensivi: la pubblicazione di queste conversazioni «offende la mia persona come ministro, come donna e come madre».