mercoledì 27 ottobre 2021
La decisione del Consiglio di sicurezza conferma il ruolo di "Osama", ritenuto dagli inquirenti italiani "il più spietato" tra i carcerieri. Nel 2019 le sue foto su "Avvenire". E' legato a "Bija"
al-Milad "BIja" e il cugino "Osama" abbracciati, in una foto diffusa sui social nel giorno della scarcerazione di al-MIlad

al-Milad "BIja" e il cugino "Osama" abbracciati, in una foto diffusa sui social nel giorno della scarcerazione di al-MIlad - .

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Si chiama Osama. E d’ora in avanti dovrà fare i conti con la sigla con cui il Consiglio di sicurezza Onu ha confermato le accuse trasmesse all’Interpol e acquisite dalla procura dell’Aja: “LYi.029”. Osama al-Kuni Ibrahim è il capo dei campi di prigionia governativi di Zawyah, in Libia. Organico al vertice del clan al-Nasr, è accusato di torture, omicidi, sparizioni, riduzione in schiavitù.

La condanna del Consiglio di sicurezza è stata trasmessa all’Organizzazione internazionale della polizia criminale il 25 ottobre. “In qualità di gestore de facto del centro di detenzione al-Nasr, la persona interessata - è scritto nella nota Onu in riferimento a Osama - ha direttamente e/o tramite subordinati coinvolti, o fornito supporto ad atti che violano il diritto internazionale applicabile sui diritti umani, o commesso atti che costituiscono violazioni dei diritti umani in Libia”.

L'iscrizione del 'carceriere' Osama nel registro delle sanzioni Onu

L'iscrizione del "carceriere" Osama nel registro delle sanzioni Onu - .

Descritto dai magistrati italiani come “il piùspietato” tra i torturatori finora identificati, tre suoi dei suoi “kapò”, passati dal ruolo di prigionieri a quello di “dipendenti” della milizia, nel maggio del 2020 sono stati condannati a 20 anni di carcere ciascuno dal Tribunale di Messina.

La prima foto di 'Osama', pubblicata da Avvenire il 21 settembre 2019

La prima foto di "Osama", pubblicata da Avvenire il 21 settembre 2019 - .

Era il 21 settembre 2019 quando per la prima volta la sua immagine cominciò a fare il giro del mondo. Venne pubblicata da “Avvenire” e proprio grazie a quella foto e alla ricostruzione della sinistra biografia dell’uomo che vi era ritratto fu possibile ottenere la conferma che due anni prima, nel maggio 2017, uno dei suoi complici era stato in Italia per una serie di incontri istituzionali riservati. Era il comandante Bija.

In alto a sinistra Bija, durante i festeggiamenti per la sua scarcerazione,  e a destra Osama

In alto a sinistra Bija, durante i festeggiamenti per la sua scarcerazione, e a destra Osama - .

al-Milad 'BIja' e il cugino 'Osama' abbracciati, in una foto diffusa sui social nel giorno della scarcerazione di al-MIlad

al-Milad "BIja" e il cugino "Osama" abbracciati, in una foto diffusa sui social nel giorno della scarcerazione di al-MIlad - .

BIja e Osama insieme

BIja e Osama insieme - .

Nessuno prima di allora era mai riuscito a fotografare il capo torturatore del campo di prigionia di Zawyah, che nel frattempo si è dotato di alcune succursali e oggi dispone della vita di almeno 2mila prigionieri. Ci riuscì uno di loro, un giovane subsahariano che tiene ancora con sé l’istantanea sgranata dell’aguzzino che popola ancora i suoi incubi notturni.

Altri superstiti delle sevizie hanno raccontato tutto alla squadra mobile di Agrigento, guidata da Giovanni Minardi, che dopo lunghe indagini riuscì ad arrestare tre torturatori nel frattempo sbarcati in Italia. Nell’ordinanza del procuratore Luigi Patronaggio e del procuratore aggiunto Salvatore Vella il nome di Osama ricorreva per 70 volte in 37 pagine. «Tutti hanno riferito di una struttura associativa organizzata, indicando il suo capo, Osama, e spesso fornendo l’organigramma dell’associazione – si leggeva –, ovviamente nei limiti in cui gli stessi prigionieri potevano rendersi conto del numero di sodali addetti alla struttura di prigionia e dei loro rispettivi ruoli».

A distanza di tempo Osama è rimasto al suo posto. Inamovibile, beneficiario, come gli altri sodali del clan, di una non dichiarata “immunità di Stato”. Sono centinaia le testimonianze raccolte in questi anni dalla Squadra Mobile agrigentina su delega della procura e trasmesse per competenza alla direzione distrettuale antimafia di Palermo. Anche se distanziate nel tempo, le ricostruzioni sono tutte concordanti. Spesso si tratta di profughi rinchiusi nel campo di prigionia di Zawiyah in epoche differenti. Molti tra loro non si sono mai conosciuti. Eppure raccontano la stessa storia. Torture, stupri, sevizie orribili. Con Osama, peraltro imparentato con lo stesso Bija, che se na va in giro con la frusta. E non risparmia nessuno. Alle volte le sessioni hanno lo scopo di dare l’esempio, non solo per filmare gli abusi allo scopo di estorcere denaro a familiari e amici dei malcapitati. Negli atti giudiziari sono citati almeno due episodi di migranti del Camerun morti a causa dei tormenti inflitti personalmente da Osama. “Anche io - ha raccontato un ragazzo ai magistrati di Agrigento - inauditamente e senza alcun pretesto, sono stato più volte picchiato e torturato da Osama con dei tubi di gomma”.

Uno degli alert emessi dall'Interpol sul gruppo di vertice della milizia di Zawiyah al-Nasr

Uno degli alert emessi dall'Interpol sul gruppo di vertice della milizia di Zawiyah al-Nasr - .

Uno degli alert emessi dall'Interpol sul gruppo di vertice della milizia di Zawiyah al-Nasr

Uno degli alert emessi dall'Interpol sul gruppo di vertice della milizia di Zawiyah al-Nasr - .

Mentre gli atti investigativi venivano trasmessi per competenza a Palermo, il segretario generale Onu, Antonio Guterres, riceveva analoghe informazioni dai suoi ispettori. «Un giorno, nel mese di luglio 2018 – ha raccontato ai poliziotti un uomo catturato e seviziato con la moglie – ci trovavamo a Zuara (non lontano da Zawyah, ndr). In quell’occasione venivamo avvistati e avvicinati da due libici, in uniforme, i quali ci hanno poi venduto al trafficante Osama». Raggiunto l’accordo «i due libici ci hanno condotto direttamente nella prigione gestita proprio da Osama, a Zawiyah, in un’ex base militare».

L’alert diramato dall’Interpol ricostruisce il gruppo di comando, così come era stato identificato in questi anni di inchieste giornalistiche. E si tratta, ancora una volta, di criminali con cui anche le autorità italiane hanno negoziato. “La persona interessata - riporta l’Interpol ancora a proposito di Osama - ha agito per o per conto o sotto la direzione di altri due individui elencati, intrinsecamente legati alle attività del traffico di esseri umani della rete Zawiyah, vale a dire Mohamed Kashlaf (il capo della milizia Al Nasr e della “Guardia petrolifera” accusata di contrabbando di idrocarburi, ndr) e Abdulrahman al Milad (più noto come Bija, ndr)”.

Il comandante Abdurhaman al MIlad (alias Bija) in una foto nel porto di Catania (maggio 2019)

Il comandante Abdurhaman al MIlad (alias Bija) in una foto nel porto di Catania (maggio 2019) - .

Gli avvisi diramati in campo internazionale per i singoli componenti del clan non hanno impedito al governo i Tripoli di promuovere personaggi come Bija, che dopo sei mesi di detenzione (tuttavia non vi è mai stata certezza sul luogo nel quale sarebbe stato recluso) è stato prosciolto da ogni accusa, risarcito con il passaggio al grado di maggiore della Marina, restituito alle sue funzioni e perfino incaricato di gestire la ristrutturazione e la riapertura dell’Accademia militare della Marina militare.

Nella nota dell’Interpol al-Milad è indicato come “capo dell'unità regionale della guardia costiera a Zawiyah, che è costantemente collegata alla violenza contro i migranti e ad altri trafficanti di esseri umani”. Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite sostiene che Milad e altri membri della guardia costiera, “sono direttamente coinvolti nell'affondamento di imbarcazioni di migranti con armi da fuoco”. Diversi testimoni nelle indagini penali “hanno dichiarato di essere stati prelevati in mare da uomini armati su una nave della Guardia Costiera chiamata Tallil (utilizzata da Bija, ndr) e portati al centro di detenzione di al-Nasr, dove - riporta ancora l’Interpol - secondo quanto riferito sono detenuti in condizioni brutali”.

Il “mammasantissima” resta Mohammed Kachlaf, “il capo della brigata Shuhada al Nasr a Zawiya”. La lettura del documento dell’Interpol spiega, ancora una volta, perché si tratti di intoccabili con cui anche i governi europei e quello italiano devono fare i conti. “La sua milizia - viene precisato - controlla la raffineria di Zawiyah”. Si tratta dello stabilimento petrolifero più importante nel Paese. Neanche durante i momenti peggiori del conflitto ha mai spesso di pompare petrolio, grazie proprio alla protezione della vigilanza privata affidata alla “Petroleum facilit guard”, guidata proprio da Mohammed Kachlaf e accusata più volte di trattenere per sé migliaia di barili di idrocarburi da smerciare illegalmente attraverso compagnie di navigazioni estere tutte legate a esponenti maltesi in contatto con la mafia italiana.

“Kachlaf controlla anche i centri di detenzione, incluso il centro di detenzione al Nasr - annota l’Interpol - , nominalmente sotto il controllo del Dcim (Dipartimento contro l’immigrazione illegale del governo libico, ndr). Come documentato da varie fonti, la rete di Kachlaf è una delle predominanti nel campo del traffico di migranti e dello sfruttamento dei migranti in Libia”. Kachlaf, infatti, “ha ampi legami con il capo dell'unità locale della guardia costiera di Zawiya, al-Rahman al-Milad, la cui unità intercetta le barche con i migranti, spesso di reti di trafficanti di migranti rivali”. Un passaggio, questo, che da solo spiega la farsa delle intercettazioni in mare dei barconi. Manovre apparentemente condotte per ottemperare agli impegni presi dalla Libia con Italia e Ue, ma che in realtà spesso celano una faida tra milizie. Il gruppo di esperti Onu per la Libia “ha raccolto prove di migranti che sono stati spesso picchiati, mentre altri, in particolare donne dei paesi sub-sahariani e del Marocco, sono stati venduti sul mercato locale come "schiave del sesso". Il gruppo di esperti - riporta ancora l’Interpol - ha anche scoperto che Kachlaf collabora con altri gruppi armati ed è stato coinvolto in ripetuti scontri violenti nel 2016 e nel 2017”.

Nessuna di queste informazioni ha impedito nel frattempo di rinnovare e rifinanziare le intese con il governo di Tripoli. Tanto a Roma quanto a Bruxelles. Intanto ad Agrigento si attende ancora il via libera del ministero della Giustizia per svolgere indagini sui guardacoste libici da diramare in campo internazionale.

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